Le recensioni di Bruno Elpis
A galla
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Che i tempi siano duri, anche per il già fiorente nord est dell’Italia, è un fatto risaputo. È dunque così difficile rimanere “A galla”? Se (e ce) lo chiede Alessandro Toso con un romanzo dai frequenti cambiamenti di azione e visuale in capitoli che si susseguono proponendo i diversi pdv dei personaggi: l’imprenditore spregiudicato, e forse anche un po’ rozzo, Renato Pappalardi; la sua intraprendente e insoddisfatta moglie Ginevra; il manager Gianluca (“Uno che metteva i sorrisini alla fine di un SMS sarebbe andato bene per Giulia, non per lei”), campione di trasformismo; la generazione dei figli, Marco e Giulia (“Lui e Giulia… non avevano nulla a che vedere neppure con la crisi delle aziende italiane, o la situazione dei mercati azionari, o qualsiasi cosa stesse provocando quei cambiamenti epocali dei quali sentiva parlare ogni sera al telegiornale”); e, infine, la nuova versione della classe operaia, incarnata dal vero eroe del romanzo: Franco Garritano, sindacalista, l’ultimo dei puri, disposto a tutto per affermare la sua coerenza ideologica e reale (“Franco Garritano era un appassionato di film western, e tutta quella situazione gli ricordava un film di Sergio Leone. Lui era il pistolero solitario, Pappalardi il ricco speculatore che voleva usurpare i terreni ai poveri fattori della zona. Un duello impari…”).
Il sorriso degli dei di Stanislao Nievo (qlibri)
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Figlio del deserto
Il sorriso degli dei riflette la ricerca condotta da Stanislao Nievo nel tentativo di trovare connessioni storiche tra personaggi ed eventi che hanno segnato la sua vita.
Un ricercatore-viaggiatore, l’alter ego dello scrittore, vive un’esperienza mistica nel deserto tra i rottami di una sciagura aerea e presenze varie: i compagni di viaggio, un anacoreta, i berberi, una iena, un leone, alcuni uccelli. Nell’atmosfera misteriosa e ispirata del deserto (“Sei diventato figlio del deserto, del vuoto, e ciò ti può accadere. Puoi tornare indietro anche tu, tanto indietro”) tre vicende – la sciagura aerea del 1989, il naufragio del 1861 del vascello sul quale era imbarcato l’antenato dello scrittore, Ippolito Nievo (“Da tempo segue le tracce d’un naufragio risorgimentale che ha coperto una tragedia e un colossale furto di stato”), e un agguato teso dal ghibellino Malacappella al capitano guelfo Balzanello dopo una notte di orge (“Saranno fratelli, figli di tre madri e tre padri, legati al nostro patto”) - sembrano riconnettersi tra di loro, unificate tanto dalla disperata ricerca autobiografica e cosmica, quanto da un nominalismo filosofico teso a rintracciare gemellanze e similitudini (“Ma i nomi legano le storie, scelgono le persone che si muovono come linee di un disegno speculare in attesa d’entrare nell’universo delle parole, dei nomi, l’unico che forma la realtà”).
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Aldilà di Stanislao Nievo (qlibri)
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Il mistero non era il buio ma la luce
Stanislao Nievo immagina l’Aldilà con un’opera che si articola in due parti eterogenee.
Nella prima, Stefano Saint Sixt – spirato agli albori del millennio – compie un viaggio in un paesaggio sempre più metafisico, nel quale sperimenta la luce (“Il mistero non era il buio ma la luce”) e una nuova energia (“L’energia in cui vibrava apparteneva a un ritmo semplice in cui prendere identità, mentre la luce lo divorava”), abbandonando gli schemi umani che ancora lo impregnano della vita appena conclusa (“Si sentiva tornare bambino, bambino dell’eternità”).
Nella seconda parte, Stefano – in vita fu l’unico sopravvissuto in un parto trigemellare – si connette con due omonimi (“Tre persone appartenenti a tempi diversi… piccoli argonauti dall’identico nome…”): “Un contadino, alla fine di maggio dell’anno 1453, lungo le sponde d’Asia” e un ricercatore, che appartiene al futuro…
Diventato un vagabondo per il dolore che provava
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- Scritto da Bruno Elpis
Quando incontro un “senzatetto”, spesso mi chiedo cosa l’abbia spinto alla sua scelta di vita.
Un delusione o un dolore?
La miseria?
Un’esigenza parossistica di libertà?
Una protesta contro la società?
O forse una combinazione di fattori…
In “Fiori per un vagabondo” di Gianni Simoni i clochard sono due.
Un uomo alcolizzato, che la ricostruzione dell’ex magistrato Carlo Petri identifica in un architetto bresciano.
Una donna di nome Paola, che ha stretto amicizia con l’ex architetto, senza conoscerne il passato.
Per questo, quando l’uomo viene giustiziato con un colpo di pistola, Paola depone quotidianamente un mazzo di fiori di campo sul luogo del delitto.
Per entrambi la scelta è riconducibile a un dolore antico e, per certi versi, simile (“L’architetto è diventato un vagabondo per il dolore che provava… non per far perdere le sue tracce”).
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