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Le recensioni di Bruno Elpis

A galla

coverChe i tempi siano duri, anche per il già fiorente nord est dell’Italia, è un fatto risaputo. È dunque così difficile rimanere “A galla”? Se (e ce) lo chiede Alessandro Toso con un romanzo dai frequenti cambiamenti di azione e visuale in capitoli che si susseguono proponendo i diversi pdv dei personaggi: l’imprenditore spregiudicato, e forse anche un po’ rozzo, Renato Pappalardi; la sua intraprendente e insoddisfatta moglie Ginevra; il manager Gianluca (“Uno che metteva i sorrisini alla fine di un SMS sarebbe andato bene per Giulia, non per lei”), campione di trasformismo; la generazione dei figli, Marco e Giulia (“Lui e Giulia… non avevano nulla a che vedere neppure con la crisi delle aziende italiane, o la situazione dei mercati azionari, o qualsiasi cosa stesse provocando quei cambiamenti epocali dei quali sentiva parlare ogni sera al telegiornale”); e, infine, la nuova versione della classe operaia, incarnata dal vero eroe del romanzo: Franco Garritano, sindacalista, l’ultimo dei puri, disposto a tutto per affermare la sua coerenza ideologica e reale (“Franco Garritano era un appassionato di film western, e tutta quella situazione gli ricordava un film di Sergio Leone. Lui era il pistolero solitario, Pappalardi il ricco speculatore che voleva usurpare i terreni ai poveri fattori della zona. Un duello impari…”).

Teatro della vicenda, un’impresa in difficoltà, come ormai ce ne sono tante (“Solo che la Technobitum non ne aveva, di tempo”), a Castello d’Arquà, un paesino del trevigiano. L’azienda è in piena crisi (“Ma perché Pappalardi non sembrava preoccupato?”), ma sembra profilarsi una speranza (“Stiamo per uscire dalla crisi”) grazie a una commissione estera (“L’ordine della Deschacht…”), anche se le oscure trame del titolare sembrano nascondere un gioco di potere e di interessi ben più complessi. 

Nel nuovo sistema delle relazioni industriali, ove il sindacato sembra esautorato dal proprio ruolo e la classe operaia è etnicamente composita anche per la presenza sempre più numerosa degli extracomunitari (“Noi non facciamo sciopero”), le tensioni che avevano caratterizzato gli anni sessanta e settanta (“FABBRICA OKKUPATA”) si manifestano in forma nuova (“L’idea di occupare la fabbrica funziona se qualcuno viene  a lavorare”) e si intrecciano a vicende dai toni vagamente New (“E quando mai sua moglie si sarebbe messa a verificare il numero di Asfalti Dolomiti?”) e/o Young Adult (“Niente. Nessuno aveva visto o sentito Giulia”).

Il risultato è un romanzo gradevole e attuale, che candida il valore della fedeltà agli ideali come possibile riferimento di una società che ha ormai irrimediabilmente cambiato (verrebbe da dire “smarrito”) i propri schemi socio-economici. 

Bruno Elpis 

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