Le recensioni di Bruno Elpis
Tre donne di Dacia Maraini (qlibri)
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Un’attrice che fa l’infermiera?
Le Tre donne di Dacia Maraini sonoGesuina, Maria e Lori: sull’asse di un rapporto familiare di discendenza diretta s’infilano tre generazioni e tre momenti dello sviluppo evolutivo della donna.
Gesuina – che non vuole rinunciare alla propria vitalità (“E io ho l’età che mi sento: trent’anni appena fatti…”) - sembra rappresentare l’energia più autentica, nonostante sia (o forse proprio perché è) la nonna: nel momento di difficoltà consiglia alla nipote di non mentire, sostiene economicamente la famiglia (“Un’attrice che fa l’infermiera?”), non rinuncia alla speranza.
Tre donne di Dacia Maraini (i-libri)
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Tre donne di Dacia Maraini – Gesuina, Maria e Lori rappresentano tre generazioni e tre punti di vista, forse anche tre fasi dell’evoluzione esistenziale della donna.
Sessantenne che intende gustare ancora i piaceri della vita (“Ti rendi conto che quello è un ragazzo, ha la mia età e tu potresti essere sua nonna!”) e non disdegna di affacciarsi al nuovo mondo social, con i suoi miraggi e le sue degenerazioni, Gesuina ha un passato di attrice (“Finché sono viva mi voglio divertire, Come Mirandolina?”) e un presente d’infermiera a domicilio (“Devo mantenere la mia fama di regina della siringa”).
Quarantenne che apprezza la cultura e sogna l’amore vero (“Molto più soddisfacente sognare attraverso le parole scritte che attraverso una macchina diabolica che sembra avvicinare le persone nel momento stesso in cui le allontana”), Maria vive di traduzioni (“Flaubert mi fa dannare. Perché ha detto Emma Bovary sono io, se poi la bistratta, la disprezza, la considera una nemica?”) e coltiva un sentimento puro per un transalpino.
Il ragazzo selvatico di Paolo Cognetti (qlibri)
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Come Robinson
Il ragazzo selvatico sembrerebbe essere lo stesso Paolo Cognetti. In ogni caso è un uomo che, varcata la soglia dei trent’anni, è ancora alla ricerca di se stesso. Per ritrovarsi, si isola in una baita di montagna e si vota alla solitudine (“Ero io la popolazione. Come Robinson sull’isola deserta potevo proclamare a voce alta: Sono io il monarca di tutto ciò che vedo…. Rappresentavo, allo stesso tempo, l’abitante più in vista e quello caduto in rovina…”).
Le frequentazioni umane sono limitate a qualche montanaro, ai due ragazzi del rifugio, agli avventizi che si avventurano da turisti in montagna (“Andrea li chiamava gli effimeri”), ai maledetti cacciatori…
Più frequenti sono gli incontri con gli animali: volatili (“Rigoni Stern classificava le nevicate tardive: neve della rondine a marzo, neve del cuculo ad aprile, e l’ultima per lui era la neve della quaglia”) dall’innocuo fringuello alpino alla maestosa aquila, marmotte, volpi, camosci e stambecchi (gli stambecchi… “non sono prudenti come i camosci, non vengono cacciati ormai da un secolo e hanno smesso di temere l’uomo”).
Nella solitudine della baita, c’è spazio e tempo anche per la lettura di Primo Levi e la poesia di Antonia Pozzi.
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Il ragazzo selvatico di Paolo Cognetti (i-libri)
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Il ragazzo selvaticodi Paolo Cognetti – A trent’anni, Il ragazzo selvatico – probabilmente Paolo Cognetti in persona – sente sgorgare dall’insoddisfazione un’esigenza di verità: “Non era un bisogno di partire, quanto di tornare; non di scoprire una parte sconosciuta di me quanto di ritrovarne una antica e profonda, che sentivo di aver perduto”.
Perché cercare la risposta nella montagna?
Il ragazzo selvatico lo spiega con parole non sue: “Amava Thoreau e ne aveva adottato il manifesto: «Andai nei boschi perché volevo vivere secondo i miei principi, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, per vedere se fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, di non aver vissuto… Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita, vivere in modo vigoroso e spartano e distruggere tutto ciò che non era vita, falciarlo via con ampie bracciate radenti al suolo, chiudere la vita in un angolo e ridurla i suoi minimi termini. E se si fosse rivelata miserabile, volevo trarne tutta la genuina miseria e mostrarla al mondo; se invece fosse stata sublime, volevo conoscerla con l’esperienza e renderne conto nella mia narrazione.»”
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