Le recensioni di Bruno Elpis
La figlia maschio di Patrizia Rinaldi (i-libri)
- Dettagli
- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
La figlia maschioè Na, avvenente ragazza scampata agli abusi privati (“Avevo imparato la distanza durante le violenze… so diventare irraggiungibile”) e al destino delle femmine nella Cina oppressa dal totalitarismo della politica demografica. La sua voce disincanta e cinica (“I padri veri o finti mi volevano, ma non come figlia… legata al mondo con il fiocco rosa dell’incesto”) si leva con quella di Marino, Felicita e Sergio, a comporre un romanzo polifonico che prevede quattro registri narrativi, tuttavia fusi nell’assolo intonato da Patrizia Rinaldi.
La figlia maschioè un romanzo duro, sia per la presenza di personaggi sgradevoli come il palazzinaro Marino (“Mi chiamo Marino, ma il mare non mi è mai piaciuto. Per questioni ereditarie ho più cari gli acquitrini”), sia per i contrasti che impietosamente ritrae: contrapposizioni di genere (“Tu invece eri la femmina della mia specie che scappa dal dominio del maschio e che perciò spinge la voglia oltre ogni limite ragionevole”), gabbie socio-familiari (“La rivelazione del tuo segreto ti spaventava più dello stupro”), conflitti del materialismo economico (“La trattativa, tra soldi per il vecchio, corruzioni, permessi e altre minuzie, raggiunse il prezzo equivalente all’acquisto di una villa all’Aventino”), rapporti sessuali predatori e umilianti (“Da quel giorno sei diventata un’ossessione pornografica da consumare in privato”).
Anche i personaggi recessivi sono tratteggiati senza sconti.
Così Felicita, condannata a un matrimonio bianco (“Le voglie matrimoniali, e non solo le sue, scadono prima dello yogurt”), traditrice per necessità (“Raggiungemmo un’intesa sessuale notevole e rischiai di confondere la fine delle astinenze con l’amore”) e perdente predestinata (“La sua bellezza si muoveva, spargeva magnificenza e terrore, consapevolezza e spontaneità, armonia e ferocia”).
E altrettanto Sergio, un uomo che né la cultura (“Ti portai nel sestiere più orientale, per questioni di appartenenza tua a qualsiasi oriente…”), né il sentimento (“Ordinai ornamento di piante e di altre particolari che indicassero stanzialità”) può redimere.
La critica di Patrizia Rinaldi è radicale, ontologica e sociologica, e regala inquietudine, nella certezza che individui e relazioni scontano gravi e perduranti iniquità storiche (“Una donna di virtù doveva accettare, siglare l’inferiorità a partire dai piedi”) e culturali (“Sono in salvo… Anche dalla magrezza malata, dall’infibulazione e dagli altri cilici”).
Giudizio finale: stile inconfondibile, riconoscibile a prima vista, una scrittrice da ascoltare (rectius: leggere) attentamente!
Bruno Elpis