Le recensioni di Bruno Elpis
La confraternita del Chianti di John Fante (i-libri)
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Grazie a “La confraternita del Chianti” John Fante confeziona un’opera nella quale il genio letterario dà pieno sfogo a un temperamento creativo che alle radici italiane affida l’affilato equilibrismo tra razionalità e follia.
Questa volta siamo fuori dal perimetro della famiglia Bandini e ci troviamo nel bel mezzo della dinastia dei Molise: una famiglia che ruota intorno alla potente figura di Nick (“Nel corso degli anni, agli angoli delle strade, nei saloon, nelle sale biliardo, Nick Molise si era cacciato in tante di quelle baruffe che il buon nome della famiglia era ormai gravemente compromesso in città”), il padre, che naturalmente preferisco definire con le parole dell’autore: “Capriccioso, rumoroso, profittatore della pazienza altrui, quasi sempre sbronzo, a San Elmo poteva starsene a briglia sciolta”.
E se non bastasse: “Faceva pietà: distrutto, imbarazzante, rivoltante, spudorato, stupido, rozzo, disgustoso e sbronzo, il peggior padre che un uomo potesse avere…”
Fatte salve improvvise e autentiche impennate d’affetto filiale: “Il mio vecchio! Che tesoro che era, com’era eccitante!”
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Santa degli impossibili di Daria Bignardi (i-libri)
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Perché è così difficile essere felici?
In modo succinto e implicito, tenta di rispondere a questo rebus forse insolubile Daria Bignardi, appellandosi alla “Santa degli impossibili”.
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Un conto aperto con la morte di Bruno Morchio (qlibri)
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Lo scafandro del detective
“Un conto aperto con la morte” di Bruno Morchio è la prosecuzione della storia narrata nel precedente romanzo “Lo spaventapasseri”.
Bacci Pagano, il detective bello e dannato che opera nella città della Lanterna, ha subito un attentato nel quale ha riportato un grave danno alla colonna vertebrale. In attesa del rischioso intervento chirurgico dall’incerto esito, vive con impazienza e tormento la propria inabilità temporanea (“Imbragato com’era nello scafandro ortopedico”), costretto all’inerzia forzata nel suo appartamento. Gli amici, il senatore Cesare Almansi (“Figlio di una borghesia interclassista educata alla scuola di don Sturzo e Primo Mazzolari”) e Gina Aliprandi, pensano bene di distrarlo da preoccupazione e dolore affiancandogli un noto scrittore, che ha l’incarico di imbastire un romanzo nel quale narrare un caso poliziesco di Bacci (“Insomma, vuole scrivere a tutti i costi un romanzo-verità”). Detto, fatto: perché il caso da narrare è quello che Pagano sta vivendo e consiste nell’individuare ragioni e responsabili dell’attentato che l’ha colpito così duramente (“Perché tu… resti convinto che l’attentato contro di te sia collegato all’omicidio (di Adele) Semeria”).
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Vacche amiche di Aldo Busi (i-libri)
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Aldo Busi pubblica un’autobiografia sui generis, intitolata “Vacche amiche”, nella quale ritroviamo vis polemica e stile che hanno reso celebre uno dei personaggi più originali dello scenario letterario nostrano.
Che al resoconto della sua vita Aldo Busi si accosti con il piglio della dissacrazione è chiaro fin dalle note biografiche in terza di copertina: un’unica frase, “Aldo Busi è nato nel 1948 a Montichiari (Bs), dove mantiene la residenza fiscale”.
Il racconto procede, volubile e umorale, tra qualche ricordo (“In una casamatta isolata dentro un campo di viti dietro l’albergo… quando pioveva la pioggia mi scendeva davanti, restavo a guardarla fino a che smetteva, rabbrividivo più per il languore ticchettante di uno spettacolo cos’ strano inscenato solo per me che per il senso di freddo…”), molte rimostranze ai limiti della voluptas dolendi (“Quanto mi piace a me di lamentarmi pur di sentire qualcuno risuonarmi nella glottide”), le inevitabili (così sembrano) autocelebrazioni (“Non mi occupo né mi preoccupo di chi potrà leggermi, se capirà o no e quanto…”), idee potenti (“L’unico sentimento che può competere con l’amore carnale: l’amore intellettuale che non ammette sconti, rimozioni, infingimenti”) e dichiarazioni di principio, il gusto per la provocazione che in questo autore non costituisce più una novità (“Io non ho mai preso un centesimo in nero, a parte un’ottantina di milioni una volta, più di vent’anni fa, per il gusto di autodenunciarmi in uno dei miei Manuali della perfetta umanità”), il senso della solitudine (“Tanti conoscenti, di cui finisci per dimenticarti nome e faccia da un mese all’altro, ma amici no”).