Le recensioni di Bruno Elpis
Uomini senza donne di Haruki Murakami (qlibri)
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Essere uno degli uomini senza donne
“Uomini senza donne” è il titolo dell’ultimo di sette racconti nei quali Haruki Murakami affronta il tema dell’assenza femminile nella percezione di uomini talvolta spaesati dal mistero dell’altro sesso.
Dopo “Drive my car”, “Yesterday” e “Organo indipendente”, i racconti si fanno sempre più surreali.
Così in Shahrazad, Habara vive in un’imprecisata sfera di cattività nella quale riceve le visite (“E quando le lancette dell’orologio segnavano le quattro e mezza, Shahrazad si interrompeva…”) di una donna che con lui consuma il sesso scandito da racconti (“Nella mia vita precedente ero una lampreda… Sai come fa una lampreda a mangiare una trota?”) proprio come nelle Mille e una notte (“L’atto sessuale con Shehrazad e le storie che lei gli raccontava formavano una cosa sola”).
“Doveva scriverlo nella sua agenda. Ladra d’amore, matita, tampax”
Lo specchio nero di Gianluca Morozzi (i-libri)
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Ne “Lo specchio nero” di Gianluca Morozzi si riflette il segmento del giallo che assume l’enigma della camera chiusa come modus di declinare il genere.
“Cosa ci faceva lui, Walter Pioggia, in un luogo estraneo, a torso nudo, davanti a un cadavere? Lui che non ricordava neppure di essere entrato in quella casa tutta pitturata di viola?”
Gli interrogativi del caso sono tanti (“Perché sono qui? Chi è questa ragazza? Dov’è la mia giacca con i documenti, le chiavi…”) e tali (“Come sono arrivato qui dentro? Quanto ho bevuto con Mizio?... E dopo l’aperitivo cos’è che ho detto a Mizio?”) da rendere particolarmente nero uno specchio che, in fin dei conti, altro non è se non l’emblema del mistero.
“Però sarebbe stato bello, perché sai, gli specchi sono proprio il simbolo del romanzo giallo, nella mia testa! … Nel senso che gli scrittori gialli li usano parecchio, no? Disseminano la trama di specchietti per le allodole per distrarre il lettore dalla vera soluzione. E se ci pensi, poi, gli specchi sono un simbolo anche in altri sensi… ogni lettore si riflette nel romanzo giallo, ci mette un po’ di se stesso, della propria intelligenza, delle proprie letture per indovinare il mistero, e magari si arrabbia con lo scrittore perché ha creato uno specchio troppo grande, o angolato in modo strano, per cui il nostro povero lettore non riesce a rimirarsi con comodità.”
Spaghetti all’assassina di Gabriella Genisi (i-libri)
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Gabriella Genisi propina in una ricetta, quella degli Spaghetti all’assassina, un’altra avventura della sexy-commissaria Lolita Lobosco, questa volta impegnata in un’indagine che cerca di dipanare i retroscena di un omicidio efferato (“… Una gran quantità di sangue. L’incaprettamento invece è un omicidio… bianco…. La morte è lentissima e agonica”).
Tra interrogatori sempre condotti con umorismo e retro pensieri, referti autoptici (“Lo Stramaglia è stato dapprima stordito a colpi di padella… poi incaprettato e successivamente evirato”) e supposizioni, Lolita non distoglie gli occhi dai possibili colpevoli, mentre il suo cuore vaga tra le delusioni amorose (“E io mi ero stancata di fare il cane da guardia”), le confidenze con l’amica Marietta, neo-procuratore capo in odore di gravidanza indesiderata, la nuova attrazione esercitata da un affascinante giovanotto (“Un cybercuoco laureato in informatica. Gli algoritmi applicati alla quiche Lorraine”), il dolore nel ricordo del padre ucciso in un attentato. Con il rituale crossover letterario, questa volta imbastito con Fabio Montale di Jean Claude Izzo.
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Mi sa che fuori è primavera di Concita De Gregorio (qlibri)
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L’assenza è una presenza costante
“Mi sa che fuori è primavera” di Concita De Gregorio ripropone il caso di Livia e Alessia (“Alessia e Livia sono nate il 7 ottobre, come la nonna Mayme, quella di cui porto il nome e della cui madre rivivo la sorte”), figliolette di Irina Lucidi e Mathias, rapite dal padre – morto suicida – e mai più ritrovate.
Dopo la separazione, intervenuta per scelta di Irina, che intende reagire a un marito “psicorigido”, che soffre di “ansia da controllo”, e a un ambiente familiare troppo formale e ipocrita, senza avvisaglie preventive Mathias rapisce le due figliolette e si dà la morte. Livia e Alessia non saranno mai più ritrovate.
Nell’opera viene scolpita la disperazione di una donna che si chiede come ha potuto non premonire la tragedia, se ha il diritto di amare ancora, e se ha titolo per nutrire qualche speranza di ritrovare in vita le figlie.
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