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Le recensioni di Bruno Elpis

L’isola degli idealisti di Giorgio Scerbanenco (qlibri)

coverA me sembrano un po’ matti 

L’isola è l’imprecisato luogo lacustre che ospita la famiglia Reffi, la servitù (“Durante i primi anni i Reffi avevano abitato da soli la villa al Ginestrin. Poi avevano preso con loro un cugino e sua moglie, jole e Vittorio Vras... Jole sovrintendeva le due domestiche, Beatrice e Marì”), il custode Giovanni Marengadi e un cane (“battezzato Pangloss da Celestino solo con l’intento di prendere in giro Voltaire e l’Illuminismo”). 

Gli idealisti sono il padre Antonio, medico in pensione, ma soprattutto i due figli non coniugati: la scrittrice Carla e l’intellettuale Celestino.
La ristretta comunità vive in equilibrio sino all’arrivo di due ladri (“Se volete potete telefonare ai carabinieri. O tenermi qui fino a domani sera, senza dire niente a nessuno. Come preferite”), che provocano i principi, i sentimenti, la magnanimità e la creatività degli “idealisti” (“Pensa a quanta gente peggiore di loro viene redenta”).

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Bestia da latte di Gian Mario Villalta (i-libri)

coverPotrebbe essere annoverato tra i romanzi di formazione Bestia da latte di Gian Mario Villalta, sia perché studia l’evoluzione psicologica dall’infanzia all’adolescenza del protagonista narratore, sia perché cerca di comprendere la matrice di pensieri e comportamenti dell’età adulta (“Negli anni che verranno io non riuscirò mai a nuotare. Potrò immergermi e uscire dall’acqua, questo sì, ma non stare a galla, con l’acqua che mi arriva negli occhi”) alla luce dell’esperienza vissuta nei primi anni della vita. 

Il racconto si rivolge anche alle caratteristiche epocali della vita intima e sociale nel passaggio dalla cultura contadina (“Quella vita che credevano l’unica possibile e doverosa: accoppiarsi, avere figli, sottomettersi finché fossero cresciuti abbastanza domati da provvedere per i genitori, oltre che per se stessi”) – con le sue caratteristiche essenziali, talvolta ai limiti della crudeltà (“Mi regalavano l’agnellino un mese prima di pasqua. E poi lo sgozzavano, lo scuoiavano, lo facevano a pezzi sotto i miei occhi. Era normale”) – al boom economico di decenni  nei quali anche il ruolo della donna evolve (“Il bisogno comune del calore del focolare la collocavano al centro della cucina, dove era abituata a esercitare, con ogni mezzo, la sua signoria”). 

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Ogni coincidenza ha un’anima di Fabio Stassi (i-libri)

coverVince Corso svolge una professione inconsueta: è biblioterapeuta (“Di mestiere curo la gente con i romanzi!”).
L’anziano Fabrizio Baldini è stato sinologo (“Il vecchio conosceva tutte le lingue”).
Le loro vite s’intersecano perché Vince viene ingaggiato dalla sorellastra del vecchio afflitto dall’Alzheimer (“Qui le ho trascritto l’elenco di queste parole misteriosamente riaffiorate sulla sua bocca”). 

Tra una seduta e l’altra con clienti spesso originali (“Esiste un libro che possa far diventare intonati?”), Vince conduce la propria indagine a partire da un’intuizione iniziale (“Così sconnesse e isolate su quel foglio, mi fecero pensare alla tecnica del caviardage”): le frasi appartengono a un libro misterioso (“Se lei lo trovasse, potrei leggerglielo ad alta voce, qualche pagina al giorno”) e l’individuazione del libro è la chiave d’accesso alla vita di un uomo che ha investito nella letteratura e nella linguistica molte risorse ed energia. 

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Ninfa plebea di Domenico Rea (qlibri)

coverBella come una fata dalla faccia negroide 

Ninfa plebea di Domenico Rea si apre con una sagra popolana che è compendio di poco sacro e tanto profano (“È qualche coppia che si sta sbranando. Non sapete che questa è la festa del diavolo?”) nella cultura contadina grezza, rude, istintiva del trentennio in un paese campano. 

Miluzza cresce in un ambiente familiare graveolente (“Ogni maccherone imbottito aveva il sapore di un dattero, ogni boccone di braciola quello della manna, l’anguria, una primizia a maggio, il gusto dell’aria profumata bevuta a sorsi”) e dominato dalla sensualità peccaminosa di una madre che sfida le maldicenze del paese.
La Ninfa plebea rimane presto orfana e, quando anche il nonno muore (“Fefele era celebre nel circondario, non soltanto perché faceva la pizza più buona al formaggio, ma anche perché mostrava alle contadine curiose sotto le frasche il più grosso arnese d’uomo del mondo”), diviene facile preda delle voglie dell’industriale del luogo, che – mostrandole il lusso -  approfitta di lei nelle trasferte a Cava dei Tirreni e Napoli (“Per la prima volta il basso le sembrò una grotta umida e fetida”).

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