Le recensioni di Bruno Elpis
Le assaggiatrici di Rosella Pastorino (i-libri)
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- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
Le assaggiatrici di Rosella Pastorino – romanzo vincitore del Premio Campiello 2018 - sono la narratrice, Rosa Sauer detta la berlinese, la rude Elfriede Kuhn, la polemica Albertine, la romantica Leni, la procace Ulla, le madri di famiglia Beate e Heike, le filonaziste “invasate”: Gertrude, sua sorella Sabine, Theodora.
Hanno un compito che le più feroci dittature fin dai tempi dell’antichità – consapevoli dell’odio che seminano – hanno inventato a protezione del despota: un parafulmine contro il pericolo che al tiranno (in questo romanzo Hitler), insieme al cibo, venga somministrato del veleno letale (“Alle undici del mattino eravamo già affamate… Quel buco nello stomaco era paura”).
L’idea di fondo del romanzo è quella di analizzare le dinamiche interpersonali in un gruppo di donne, accomunate dal terrore indotto sia dal pericolo di vita che si rinnova a ogni pasto sia dalla vigilanza delle temibili SS (“Calzava stivali enormi, perfetti per schiacciare teste di serpenti”).
È una vera e propria professione quella esercitata da Rosa e socie: ha criteri di selezione incerti (“Su che base ci avevano scelte? … mi aspettavo di trovare un covo di ardenti naziste…”) e regole talvolta indefinite (“Non sapevo quanto fosse segreto il nostro incarico, se bisognasse negare di conoscerci”), ma è retribuita (“Saremmo state retribuite per il nostro lavoro… Duecento marchi al mese”) e finalizzata (“Non ci serve un’assaggiatrice che non assaggia”).
Durante la lettura viene naturale seguire le vicende di alleanze, rivalità e solidarietà, così come intravedere in controluce la figura odiosa di un dittatore folle, misogino (“Più grande è l’uomo, più insignificante deve essere la donna, lo dice anche Hitler”), perfin ridicolo nelle monomanie (“Hitler impazziva per Blondi, la femmina di pastore tedesco… anche se Eva Braun non la sopportava”) e nei deliri che lo animano (“Sono in due a non aver capito che in Russia fa freddo… Uno è Napoleone”).
Così come risulta interessante partecipare alle pulsioni che animano donne costrette dalla guerra (“Eravamo donne senza uomini. Gli uomini combattevano per la patria… o venivano dati per dispersi”) all’astinenza, alla ricerca di autostima (“Tutte avevamo bisogno di essere desiderate, perché il desiderio degli uomini ti fa esistere di più”) e di una nuova identità femminile (“Abitavamo un’epoca amputata, che ribaltava ogni certezza, e disgregava famiglie, storpiava ogni istinto di sopravvivenza”). Non soltanto attraverso le vicende personali di Rosa che, nella seconda parte del romanzo, dopo aver appreso che il marito è disperso in Russia, si lascia vincere da una contrastata passione per il crudele tenente Ziegler, che le fa conoscere una strana commistione tra il risveglio degli istinti, il rimorso per i tradimenti nel fienile (“Il gatto lo sapeva che ero qui”) e l’angoscia di consegnarsi al nemico (“Eppure quell’intimità non era mai consuetudine, era un punto di catastrofe. Passavo un dito nell’insenatura al centro del suo petto e la mia storia personale veniva rasa al suolo, il tempo si contorceva, una durata senza progresso”).
Ispiratosi alla figura reale di Margot Wölk, Le assaggiatrici propone una sintesi tra fiction e storia, alternando invenzione e fatti reali (come l’attentato denominato operazione Valchiria, condotta dal conte Stauffenberg), sino alla disfatta tedesca (“Le svastiche sulle fiancate erano un orpello ridicolo, come sempre sono le tracec dei perdenti”), sempre sul filo della tensione garantita dal protagonista occulto: l’innominabile artefice di una delle immani tragedie umanitarie del XX secolo.
“La fine era giunta. Avevo perso un padre, una madre, un fratello, un marito, Maria Elfride, e pure il professor Wortmann, a voler contare tutti. Solo io ero ancora illesa, ma ormai la fine era dietro l’angolo.”
Bruno Elpis