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Le interviste di Bruno Elpis

Giuseppe Mallozzi e Gisella Calbrese, alias “I sogni di Carmilla”

i sogni di carmilla1. Da dove nasce l’idea di intitolare un’associazione culturale a “I sogni di Carmilla”?
Ci piaceva l’idea di un nome evocativo, che ispirasse quell’atmosfera onirica tipica delle persone creative, che vivono sognando ad occhi aperti, che prendono spunto da piccole cose per esprimere la loro interiorità. Carmilla – omonima del personaggio di Le Fanu, con la quale l’unica cosa in comune è il nome -  è una bambina, una ragazza, una donna, forse una maga o uno spirito, che sogna cose meravigliose, ma anche incubi, desideri, ma anche paure nascoste che di notte prendono vita. Carmilla è ognuno di noi e i suoi sogni sono anche i nostri.

 2. Quali sono gli obiettivi che l’associazione si propone? Con quali iniziative intendete perseguirli?
La nostra associazione è nata dalla passione che abbiamo per la letteratura. Entrambi laureati in materie umanistiche, appassionati di libri e cinema, abbiamo accarezzato l’idea, divenuta poi realtà, di dare spazio e voce a chi avesse l’esigenza e l’urgenza di dire qualcosa e di farlo in maniera creativa. Ci piace il pensiero di essere un po’ come dei talent-scout che scovano, in mezzo a tanta spazzatura, anime e storie profonde, interessanti, vibranti. I nostri concorsi letterari sono una vetrina per gli autori che vi partecipano, ma anche un modo per avere un confronto, spesso per la prima volta, riguardo alle proprie creazioni. E’ un’esperienza per maturare e per crescere nella scrittura e come “artisti” della penna, ma è un’esperienza arricchente anche per noi. Vogliamo diffondere la cultura in ambiti diversi, rivalutare e valorizzare questa componente così importante, ma anche così bistrattata dal mondo dei reality show fasulli e della notorietà fatta solo di apparenza e nessuna sostanza.

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Intervista a Marco Buticchi, autore de "La voce del destino", romanzo finalista al Premio Salgari e al Premio Bancarella 2012

buticchiGrazie Marco per aver accettato questa intervista. Ti confesso che ho letto in un paio di giorni “La voce del destino”: un romanzo complesso, articolato e ricco di riferimenti alla drammatica storia del secolo scorso. Cosa significa scrivere un’opera così complessa per un autore?
Immagino che richieda grande serietà e un impegno titanico… “Impresa titanica” è portare a termine ogni romanzo (e ormai ne conto una decina). Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, ovvero allo scrittore ammaliato dal tramonto, travolto dall’ispirazione, coi capelli arruffati e lo sguardo perso nel nulla e che magari ogni tanto “cicchetta” per stordire l’anima; scrivere è lavoro, dedizione, fatica, ricerca, attenzione quasi maniacale…. Io la chiamo “sindrome da Scipione l’Africano”, ricordate? Nel famoso kolossal mussoliniano un centurione della Roma delle guerre puniche indossava un… cronografo da polso! Chi scrive correndo lungo la Storia deve approcciare l’argomento con rigore: “Scipione” è sempre in agguato e ci vuol poco a far mangiare a un antico etrusco un bel pomodoro maturo o una patata bollita duemila anni prima che Colombo scoprisse l’America…

Partiamo dal fondo, ossia dalla “nota dell’autore” posta a conclusione dell’opera. Lì dichiari: “La domanda più ricorrente che mi viene formulata è relativa a quanta invenzione ci sia in un romanzo e quanto appartenga alla Storia.” Senza tema di apparire dozzinale, ti attesto che, leggendo il romanzo, mi sarò chiesto almeno una ventina di volte: “Ma sarà vero?” Questo è un effetto voluto o soltanto casuale?
Un “certo” Manzoni Alessandro riteneva la commistione tra vero e verosimile indispensabile al romanzo storico-avventuroso. Dato che non sono Manzoni, mi sento in dovere, alla fine dei miei romanzi, di chiarire alcuni fatti ricordando quelli, inseriti nella trama, accaduti realmente. Credo che questo rafforzi da un lato la mia convinzione di aver seguito un percorso “corretto” (è troppo facile, con la penna dalla parte del manico, sparare su tutti e tutto); dall’altra spero che ne tragga beneficio anche il piacere del lettore nel leggere.

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Intervista a Marcello Simoni, autore del romanzo vincitore del premio Salgari e del premio Bancarella 2012

marcello simoniGrazie per aver accettato questa intervista. Ma … un ex archeologo che fa il bibliotecario … è una contraddizione, è “coincidentia oppositorum”, passione per i libri o  … che altro? 
Gli opposti si attraggono, magari non sempre, ma nel mio caso sì. Grazie alla curiosità e alla passione per i libri e per gli oggetti antichi, sono riuscito a fondere la mia natura di creativo con la formazione di archeologo-saggista.

Questo splendido successo editoriale cambierà qualcosa nella tua vita?
Sostanzialmente, mi farà lavorare di più e con maggiore determinazione. Ma la consapevolezza dei risultati raggiunti non mi cambierà nello spirito.

Come hai vissuto la vittoria del Premio Salgari?
L’essere stati scelti da una giuria tecnica di persone che stimo e rispetto è stato un motivo di grande orgoglio. Altrettanto il trovarsi al fianco di due scrittori di prestigio, vincitori assieme a me.

E quella del premio Bancarella? Come si connota rispetto alla precedente? Ti posso dire che nell'immaginario collettivo il premio Salgari è un riconoscimento alla fantasia e all’avventura, mentre il Bancarella rappresenta la consacrazione ‘commerciale’?
Il Salgari riguarda la narrativa avventurosa (una mia grande passione), ed è facilmente circoscrivibile entro un discorso di stile e di generi letterari. Il Bancarella, giunto ormai alla 60ª edizione, è invece lungi dall’essere meramente assegnato al libro che vende di più. È uno dei tre premi letterari più importanti d’Italia, insieme allo Strega e al Campiello, e si compone di una giuria di librai indipendenti che non si limitano a vendere, ma anche a leggere i libri, quindi a valutarli con il metro dello stile e dell’intrattenimento, non solo del successo. L’aspetto commerciale, dunque, è una sfumatura che va a collocarsi in un quadro molto più ampio e articolato.

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Cinque domande a Barbara Baraldi

Barbara BaraldiDopo aver commentato il suo ultimo romanzo "Un sogno lungo un'estate", abbiamo posto alcune domande alla simpatica autrice.

1) Allora Barbara, come sei riuscita a descrivere così bene – nell’intimità prima ancora che nell’habitus – una adolescente?

B.B. - Ogni volta che mi accingo a scrivere un romanzo cerco di entrare nella mente dei protagonisti. E mi decido a scrivere le loro storie solo quando li sento respirare dentro di me. Credo che loro esistano, da qualche parte, e lo scrittore sia un medium in grado di trasportare i loro pensieri nel mondo reale, tramite le parole.

2) Nel romanzo si percepisce la tua “doppia” anima: quella della scrittrice di libri per la gioventù e quella di autrice noir con il gusto per la tensione. Come convivono queste due “tendenze”? O forse dobbiamo parlare di “essenze”?

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