Le interviste di Bruno Elpis
Intervista a Marcello Simoni, autore del romanzo vincitore del premio Salgari e del premio Bancarella 2012
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- Scritto da Bruno Elpis
Grazie per aver accettato questa intervista. Ma … un ex archeologo che fa il bibliotecario … è una contraddizione, è “coincidentia oppositorum”, passione per i libri o … che altro?
Gli opposti si attraggono, magari non sempre, ma nel mio caso sì. Grazie alla curiosità e alla passione per i libri e per gli oggetti antichi, sono riuscito a fondere la mia natura di creativo con la formazione di archeologo-saggista.
Questo splendido successo editoriale cambierà qualcosa nella tua vita?
Sostanzialmente, mi farà lavorare di più e con maggiore determinazione. Ma la consapevolezza dei risultati raggiunti non mi cambierà nello spirito.
Come hai vissuto la vittoria del Premio Salgari?
L’essere stati scelti da una giuria tecnica di persone che stimo e rispetto è stato un motivo di grande orgoglio. Altrettanto il trovarsi al fianco di due scrittori di prestigio, vincitori assieme a me.
E quella del premio Bancarella? Come si connota rispetto alla precedente? Ti posso dire che nell'immaginario collettivo il premio Salgari è un riconoscimento alla fantasia e all’avventura, mentre il Bancarella rappresenta la consacrazione ‘commerciale’?
Il Salgari riguarda la narrativa avventurosa (una mia grande passione), ed è facilmente circoscrivibile entro un discorso di stile e di generi letterari. Il Bancarella, giunto ormai alla 60ª edizione, è invece lungi dall’essere meramente assegnato al libro che vende di più. È uno dei tre premi letterari più importanti d’Italia, insieme allo Strega e al Campiello, e si compone di una giuria di librai indipendenti che non si limitano a vendere, ma anche a leggere i libri, quindi a valutarli con il metro dello stile e dell’intrattenimento, non solo del successo. L’aspetto commerciale, dunque, è una sfumatura che va a collocarsi in un quadro molto più ampio e articolato.
A chi hai dedicato le due vittorie?
Alle persone che amo di più.
Come nasce la tua vocazione per la scrittura?
Ho sempre amato scrivere, fin da ragazzino. Ma la prima volta che ho desiderato diventare uno scrittore è stato a 17 anni, dopo aver letto La città senza nome di Lovecraft.
Hai esordito con ‘Writers Magazine”. Cosa rappresenta per te questa fase?
WMI è una grande palestra per gli esordienti, ma non solo, e mi ha permesso di misurarmi in uno degli ambiti più difficili della narrativa: il racconto breve. Collaborare con Franco Forte è stata un’esperienza fruttuosa, ho imparato molto da lui.
Lo sai che probabilmente incarni il sogno di molti esordienti? Che consiglio ti senti di dare a chi desidera scrivere non soltanto per se stesso, ma anche per un pubblico?
Di non arrendersi ai primi insuccessi e di tenere duro, ma soprattutto di chiedersi se è veramente convinto di percorrere la strada giusta. Il mestiere di scrivere è molto duro e soltanto in rari casi porta al successo. Io mi sono dedicato alla narrativa perché mi piaceva – e mi piace tuttora – scrivere fiction. Chi si accosta alla narrativa soltanto per tentare di scrivere un best seller, non sa nulla della passione.
E veniamo al romanzo. Cosa pensi quando di te dicono che sei il nuovo “Umberto Eco”? In realtà quali sono i tuoi riferimenti? Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Il paragone con Eco mi lusinga, ma mi sento profondamente diverso dal dotto semiologo. Mi sento molto più vicino al filone gotico-avventuroso, dove l’azione e l’esoterico si fondono in un prototipo di medieval thriller che definirei ibrido, ma non certo saggistico. Non faccio riferimento a modelli letterari, ma mi abbandono a suggestioni che provengono dagli ambiti più svariati, dal cinema alla narrativa, ma anche dal fumetto e dalla musica. Sono un estimatore di Salgari, di Dumas, ma anche di Valerio Evangelisti, di Fred Vargas e di Joe Lansdale. Ultimamente sto leggendo Tim Willocks.
Com’è stata la tua esperienza in Newton Compton? Come avviene, in una grande casa editrice, la selezione dell’opera che partecipa a un premio letterario nazionale?
Riguardo i miei gusti e le mie esperienze, definirei Newton Compton l’editore ideale. Mi sono sentito subito a mio agio e fin dall’inizio ho collaborato con piacere con l’ufficio stampa-eventi e pure con il mio editor, Alessandra Penna, una ragazza laboriosa e geniale. Mi trovo molto bene anche con Raffaello Avanzini, che ha creduto da subito nelle mie potenzialità. È una persona innamorata del proprio mestiere e che mette l’anima in tutto quello che fa. In un certo senso è un guerriero, proprio come me.
Il viaggio di Ignazio: lo hai fatto realmente o soltanto, come Salgari, con la fantasia?
Soltanto con la fantasia, documentandomi e lasciandomi trasportare dalle suggestioni che ricevevo dalle fonti storiche.
Il crittogramma è molto ingegnoso. E’ stato difficile inventarlo?
Se non fosse stato difficile, non mi sarei divertito a idearlo.
Il tuo stile narrativo è molto suggestivo. Calibrato, ben dosato, abile nel creare tensioni e atmosfere. Qual è la sua genesi? Come si è formata la tua modalità espressiva?
Tento di scrivere in modo corretto e chiaro, lavorando alla fluidità della frase imprimendole un senso di ritmo e, forse, di musicalità. Ma in fin dei conti, è un’operazione così spontanea che definirei semplicemente “il mio modo di scrivere”. Non saprei farlo in altro modo.
Qual è stato il miglior complimento che hai ricevuto?
“Credevo che non mi piacesse leggere, invece con il Mercante mi sono ricreduto”. Me l’ha scritto mesi fa un ragazzino di 15 anni, mi ha riempito di gioia.
La peggior critica che ti è stata rivolta invece…
Le critiche, quelle sincere, sono sempre costruttive e le accolgo volentieri perché mi consentono di migliorare, perciò a nessuna di esse appiopperei l’etichetta di “peggiore”. Ne ho ricevute di molto utili, riguardanti l’uso dei personaggi e il ritmo della storia. Tutto il resto nasce dall’invidia, quindi non è degno di nota.
Puoi darci un’anticipazione sul tuo prossimo lavoro?
La prossima avventura del Mercante uscirà in libreria il 4 ottobre e s’intitolerà La biblioteca sotterranea dell’alchimista. È ambientata in Spagna e in Linguadoca, nel 1227, e verterà sulle trasmutazioni alchemiche del Basso Medioevo, con le quali Ignazio da Toledo dovrà fare i conti. Ma il Mercante avrà anche a che fare anche con un codice perduto, il Turba philosophorum. Si tratta di un manoscritto autentico, al punto che per scrivere il romanzo ho dovuto leggerlo e decifrare alcuni suoi aspetti enigmatici. Attualmente, però, è già disponibile un altro mio romanzo, un’avventura corsara ambientata nel XVI secolo, dal titolo Rex Deus. L’armata del diavolo. Si tratta di un romanzo ispirato a fatti realmente accaduti e che vede come protagonista Cristiano d’Hercole, il figlio di un corsaro barbaresco e di una donna dell’isola d’Elba. Sta uscendo a puntate in formato ebook, a prezzi veramente stracciati, sempre per Newton Compton.
Sono solito chiudere le mie domande alla Marzullo. Fatti una domanda a piacere e rispondi … sono sicuro che non ti lascerai scappare l’occasione per lanciare un messaggio ai tuoi lettori!
“Quale regola segui per scrivere i tuoi romanzi?”
Essenzialmente una: divertirmi, cercando di non scrivere cavolate.
Ringrazio Marcello per la disponibilità e per la simpatia con la quale ha affrontato quest’intervista di …
... Bruno Elpis
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