Le recensioni di Bruno Elpis
Novanta di Lorenzo Marone (qlibri)
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Napoli tra sogni, smorfia e realtà
In una vecchia canzone (“Anche un uomo”) Mina, da adulta, ammoniva una giovane donna sulle creature dotate di cromosoma xy: “Ragazza mia, ti spiego gli uomini…” Poi seguivano, tra gorgheggi, sospiri e miagolii, le disincantate considerazioni dell’inossidabile cantante sul genere maschile.
Operazione analoga - almeno nella struttura, non certamente nei contenuti - compie in “Novanta” Lorenzo Marone, che nella dedica autografata in prima pagina recita: “A Bruno… provo a spiegare la mia città”.
Perché in quest’opera composta da novanta racconti, lo scrittore partenopeo affresca altrettante situazioni e regala altrettante impressioni, ciascuna delle quali viene abbinata al numero e al simbolo de La Smorfia.
Aiuto! Sono diventata mamma! di Loredana Ronco (Malgradopoi)
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Loredana Ronco scrive questo saggio (sostantivo, non aggettivo!) dopo la maternità, evento che suddivide la vita dell’autrice in due epoche storiche: “prima di Anna, dopo l’arrivo di Anna”.
Con ironia e disincanto, in poco più di cento pagine ( la versione cartacea la trovate a questo link, mentre qui trovate l’e-book) Loredana ripercorre le tappe di un percorso unico, senza mistificazioni e senza abbandonarsi ai facili entusiasmi di quella che – per conclamata convinzione generale – rappresenta un’esperienza determinante e vitale: la nascita di un figlio.
Il sottotitolo (“Tutto quello che le donne non dicono sulla maternità!”), enfatizzato dal punto esclamativo, lascia già intendere quale sia l’intonazione di questo diario che ripropone in chiave umoristica, e anche non, i passaggi più salienti di un itinerario spesso sorprendente: la decisione di procreare, la conferma del test di gravidanza, la dolce attesa, il parto (“Non temete, non vi terrorizzerò con racconti terrificanti sul dolore o su strane manovre…”), le notti insonni, le fatiche fisiche, l’evoluzione del rapporto con il partner, le vacanze riformattate, via via fino all’affermazione della nuova vita nell’identità filiale che conquista, sconvolge e travolge la sorte dei genitori.
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Giallo di zucca di Gaia Conventi: una fiaba noir per Natale (Malgradopoi)
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Luchi è fotografo alla scientifica (“Ho portato con me anche il grandangolo, mi capita raramente di usarlo visto che non mi occupo di panorami”) e si trova suo malgrado ad affrontare il misterioso caso di un doppio omicidio e di una doppia sparizione di donne: una anziana, l’altra giovane e (in stato) interessante (“A sentire Aidi pare che la nostra Emy facesse un po’ il verso a Sharon Stone nella famosa scena dell’interrogatorio senza mutande”).
Regista di questa ecatombe – degna di trasmissioni TV come “Porta a Porta” (quando Vespa illustra gli omicidi con plastici e flow chart) e “Chi l’ha visto?” (quando però i dispersi non vengono ritrovati) - sembra essere colui che a Ferrara oramai tutti chiamano familiarmente “l’assassino delle favole”.
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Il mio cuore cattivo di Wulf Dorn (Malgradopoi)
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Dorothea (detta Doro) si incolpa della morte del fratellino Kai (“Immagino che tu sappia cos’è un aneurisma congenito”), avvenuta durante la notte nella quale i genitori le hanno affidato il bambino (“Se poi una è anche costretta a fare la babysitter…”).
Nonostante le rassicurazioni (“Detto questo, non è che volessi fare del male a mio fratello”; “Nessuno lo sostiene… Nessuno a parte te, Doro. E mi domando: perché?”), Doro è perseguitata dai rimorsi.
Dopo un trattamento sanitario dell’esaurimento e la separazione dei genitori, Doro si trasferisce con la madre nell’immaginaria cittadella di Ulfingen, sul lago omonimo. Lì viene consegnata alle cure del dottor Frank Nord, psicanalista vicino di casa (“Voglio risalire a ciò che hai rimosso, che non sei più capace di ricordare. Alla notte prima della morte di Kai. Deve essere successo qualcosa che ti fa sentire colpevole benché non ve ne sia alcun motivo apparente”) e padre di Julian, ragazzo che sta vivendo il dramma della morte della madre e del quale Doro s’innamora (“Accanto a Julian non c’erano mostri. Nessun Kai morto, nessun Kevin morto, nessuna ragazza dalla faccia da insetto: niente che potesse farmi paura”).
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