Le recensioni di Bruno Elpis
Cesare l’immortale di Franco Forte (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Quando il germe di un dubbio s’insinua nel nostro animo, le conseguenze possono essere le più disparate: talvolta spettacolari, talaltra imprevedibili. E proprio da un dubbio di base si scatena la creatività ucronica di Franco Forte per dare vita a “Cesare l’immortale”, un percorso mentale e fantasioso che la mente imbocca dopo aver constatato che il dittatore -conquistatore tra i più geniali della storia - è incredibilmente perito in un attentato, quello delle Idi di marzo, ampiamente prevedibile ed evitabile.
Alcune circostanze – ingenuità della vittima, rinuncia alla scorta, premonizioni trascurate e avvertimenti ignorati (“Ormai si è sparsa la voce, e molti sanno che stiamo per agire”) – legittimano l’esercizio del dubbio iperbolico, un metodo che nella filosofia cartesiana promuove la conoscenza, un interrogativo che qui scatena il viaggio storico-geografico alternativo rispetto alla cronaca dei fatti che la storiografia ufficiale ci ha tramandato.
Dunque Cesare non è morto!
E non soltanto è più che mai vivo e vegeto (“Il dittatore di Roma era ancora vivo, ed era lì davanti a lui, spavaldo e sicuro di sé come sempre, circondato dai fantasmi di uomini che tutti credevano morti”), ma addirittura è assetato d’immortalità!
Eccolo vitale, egemone e carismatico, risoluto e determinato (“Eccola, la magnifica sensazione di cui si era abbeverato per tanti anni, nelle gloriose campagne di conquista in Gallia, Germania e Britannia, e di cui da troppo tempo sentiva la mancanza”), volitivo, carnale con la moglie Calpurnia e lussurioso con la prigioniera Cretica, combattivo e agguerrito (“L’eccitazione dello scontro imminente gli infiammava le vene”), sanguigno, in queste pagine intento a esercitare l’arte militare nella quale ha dimostrato di eccellere, stanco dei giochi di potere e della burocrazia dell’Urbe, desideroso di affrontare una nuova esplorazione di conquista verso una meta proibitiva e verso un obiettivo ambizioso (“Conquistare il bottino più grande: il segreto della vita eterna”), forse impossibile: il non plus ultra, se vogliamo traslare la metafora delle Colonne d’Ercole che la legio Caesaris atttraversa dopo aver affrontato anche i pirati cilici nel Mare Ibericum.
L’itinerario è ardito: solcare l’Oceanus Magnus, lambire la Britannia, naufragare su Ierne (“Questo è territorio celtico… si tratta dell’isola di Iérne descritta da Pitea”), puntare verso la leggendaria “isola che gli antichi avevano chiamato Thule, e che lui sapeva essere il regno degli dei con cui era pronto a confrontarsi”, affrontando ghiacci sterminati, la notte eterna… e l’ignoto…
In questo viaggio temerario, la storia si tinge di mitologia classica e s’ibrida nelle leggende nordiche (“Qui devono esserci quegli stregoni che conoscono il segreto degli oscuri riti celtici e che praticano il culto della vita eterna”), s’incontrano creature mostruose (“Un serpente colossale… Tiamat, la dea primordiale custode degli oceani, che contendeva a Nettuno le vittime predestinate”) e s’incappa in prodigi che la mente umana fatica a immaginare.
L’ucronia scaturita dall’esercizio del dubbio iperbolico così si tinge di fantastoria e sulle pagine del romanzo viene proiettato un kolossal ove il protagonista si misura – oltre che con i nemici e con le potenze della natura – con un deuteragonista d’eccezione: quel Cicerone repubblicano che la storia “ortodossa” ha rappresentato come antagonista del dittatore. Perché nel romanzo di Franco Forte il celebre retore (“Cesare gli dava la possibilità di inseguire un miraggio”) assume il ruolo effettivo di “Tribunus laticlavius, il vicecomandante della legione e mio braccio destro” e quello figurato di coscienza critica di Cesare (“Io ho bisogno di qualcuno con cui confortarmi, prima di prendere le decisioni più importanti”).
In “Cesare l’immortale” Franco Forte riconferma la propria vocazione a contaminare il genere del romanzo storico in un’ulteriore declinazione che è nuova rispetto alle rappresentazioni classicheggianti già fornite in “Caligola” o in “Carthago”, ma anche rispetto alla variante poliziesca che abbiamo apprezzato ne “Il segno dell’untore”. Così, in questo nuovo esperimento, l’allostoria di Cesare muove dai fatti, li combina con l’immaginazione fantastica, si sostiene sull’azionismo e sul pragmatismo, ma non dimentica la suggestione dei quesiti eterni (“Ho sempre saputo che lo scontro finale non sarebbe stato una battaglia condotta con le spade”) ai quali l’uomo non sa trovare risposte in saecula saeculorum…
Bruno Elpis
Cinque domande a Franco Forte
D - “Cesare l’immortale” si differenzia dal precedente Caligola per le tinte fantasy e per l’abbandono della plausibilità storica…
R – Be', no, in realtà tutto è coerente e plausibile proprio con i lasciti storici. A dirla tutta, forse è più credibile la mia idea che Cesare non sia stato così sciocco da farsi ammazzare come un pivello ma abbia organizzato lui stesso la famosa congiura delle Idi di marzo. E tutto ciò che viene dopo è sì fantasia, ma in parte basata su studi storici che mi hanno dato materiale coerente e concreto da sviluppare, dall'altra sul mito greco e latino, che per millenni hanno influenzato la vita pubblica e privata delle principali civiltà del mondo antico. Io, da me, non ho inventato praticamente nulla...
D – Nella narrazione la mitologia classica – greca o romana – cede ben presto il passo a quella nordica, in un vistoso scontro tra mentalità che, considerata l’epoca storica, dovevano essere ben distanti. A quali fonti hai attinto per questa incursione nordica?
R – A tutte quelle possibili, e ce ne sono tante. Sfilacciate, disperse, disgregate, ma... concrete, studiate, riportate dagli storici antichi e moderni. Il mio è stato un lungo lavoro di scavo archeologico nelle fonti, e tutto quello che ho scritto non è mai stato parto della mia fantasia, ma ho sempre raccolto queste informazioni dal mito, dalla leggenda e dalla Storia.
D - Ma il segreto del terribile stregone druido che la legio Caesaris incontra in Irlanda risiede tutto nelle erbe?
R – Sembrerebbe di sì. E per me non è stata una cosa del tutto nuova, anzi. Nel mio gengis Khan racconto di come gli sciamani mongoli erano soliti respirare la “polvere dei morti”, derivata da erbe mischiate alla cenere dei morti, che favoriva allucinazioni e, nelle loro credenze, li rendeva più vicini agli dei.
D - Il finale tra i ghiacci dell’Islanda mi ha ricordato in qualche modo l’epilogo del Gordon Pym di Poe (lì siamo in Antartide, però). Anche lì predominano gli aspetti fantastici della narrazione…
R – Be', io qui mi sono appoggiato alle credenze del mito nordico, mischiando forse in modo un po' azzardato (ma consapevole) le divinità greche e latine con quelle vichinghe e, prima ancora, celtiche, dando vita a qualcosa che credo non sia mai stato scritto prima.
D – Cesare l’immortale può ben rappresentare una lettura d’intrattenimento anche nel prossimo mese, per eccellenza dedicato alle vacanze. Cosa consiglia Franco Forte per aumentare la fruibilità della lettura del suo romanzo?
R – Una bella colonna musicale d'impatto, un Wagner o un Ravel.
Ringraziamo Franco Forte per le risposte e gli diamo appuntamento alla prossima avventura… in terra d’Egitto, vero?