Le recensioni di Bruno Elpis
Carthago di Franco Forte (Malgradopoi)
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- Scritto da Bruno Elpis
Proposto nel mese di luglio dal Corriere della Sera nella collana dedicata ai “grandi romanzi storici”, Carthago narra di uno degli antagonismi più celebri della storia antica, come recita il sottotitolo: “Annibale contro Scipione l’Africano” nella seconda guerra punica.
E proprio sulla contrapposizione tra due termini di paragone così antitetici fonderò questo mio commento, io stesso vittima del più diffuso tra gli atteggiamenti psicologici nel quale versa il lettore/spettatore – come dinnanzi al più classico dei film western: sto con i cow boys o con gli indiani di Geronimo? – che si interroga su chi parteggiare.
Perché Annibale e Scipione agiscono ciascuno sul proprio piano (“Annibale Barca. Un cartaginese che, per qualche motivo, sentì che avrebbe presto incontrato, come se i loro destini dovessero prima o poi intrecciarsi”), quasi due rette parallele, che però si incontrano/scontrano nella battaglia finale: a Zama.
E – per continuare nella metafora delle rette parallele – secondo i canoni della geometria si incontrano anche all’infinito, ossia in punto di morte, come rileva Franco Forte quando osserva che, per una bizzarria del caso?, entrambi gli eroi morirono nel 183 a. C.: “Il loro reciproco destino si era finalmente compiuto. In perfetta simbiosi.”
E allora eccoli i due litiganti nella ricostruzione plastica e tridimensionale operata dall’autore de “Il segno dell’untore”.
Annibale
Lucido ai limiti della spietatezza (“Non credere mai che un legionario sia morto fino a quando non gli avrai strappato il cuore”), guerriero freddo (“Uccidete tutti gli uomini … Lasciate che le donne servano a soddisfare i nostri guerrieri. E prendete i bambini, li venderemo come schiavi”) e crudele (“In tutto Annibale contò quattordici uomini appesi ai pali della tortura”), statuario nell’aspetto (“Il guerriero cartaginese era gigantesco, una furia d’uomo dagli occhi scintillanti che niente pareva in grado di arrestare…”), cionondimeno sa abbandonarsi al forte sentimento che nutre per l’affascinante moglie (“Himilce, la ragazzina che anni prima lui aveva salvato dal legionario che l’aveva fatta schiava”).
Consapevole dei meccanismi del potere (“… non faceva niente per dissuadere gli uomini dal ritenerlo dotato di poteri soprannaturali”), carismatico al limite della teatralità (“… consapevole dell’importanza che quel rito avrebbe avuto sul morale degli uomini … sollevò la mano che stringeva il cuore ancora caldo del toro”), è guidato dall’antico odio verso i romani ed è sempre memore di quel giuramento che Nepote ha testimoniato (“Simul me ad aram adduxit, apud quam sacrificare instituerat…”) in un famoso passaggio che tutti noi abbiamo tradotto ai tempi del liceo. O per dirla con Franco Forte: “Io intendo onorare le promesse che ho fatto davanti alla sua pira funeraria.”
Pubblio Cornelio Scipione detto l’Africano
Giovane smanioso (“Era ancora troppo acerbo, in fatto di tattiche militari e strategie di guerra …”) e ambizioso (“Il ragazzo è già pronto per infilarsi nella mia toga” di console), in cerca dell’approvazione degli adulti (“Lo consideravano uno di loro … e non più semplicemente come il figlio del console …”), proviene da una famiglia influente (“una stirpe importante come quella degli Scipioni”) e, pur non disdegnando i piaceri della carne che pratica con voracità (“l’idea di giacere con entrambe”), non esita a lasciar prevalere la ragion di stato nelle proprie scelte (“L’unione della gens Cornelia con la gens Emilia avrebbe reso ancora più forte la loro influenza su Roma e sul Senato …”), perché capisce “di essere al centro di un progetto politico e familiare …”
Incontra Annibale per la prima volta durante la battaglia del Ticino e per lui prova una strana attrazione: “Per quanto sapesse che il sentimento predominante dentro di lui avrebbe dovuto essere l’odio verso il cartaginese, sentiva di ammirarlo.”
Due strategie a confronto
Quella di Annibale si fonda sull’invasione in terra romana (“… c’è un solo modo per battere Roma. Penetrare in Italia e convincere gli alleati dei romani a insorgere”), sul saccheggio finalizzato a sfiancare il nemico (“Dobbiamo continuare a depredare l’Italia … Muoverci come una nuvola di cavallette che distrugge ogni cosa al suo passaggio …”), sull’astuzia e sulla tecnica militare (“Al centro i veterani libici, più forti e tenaci, e alle ali gli alleati iberici e gli elefanti”), sulla forza (“Abbiamo un esercito di quarantamila uomini …”) e sulla sorpresa: “Costruiremo delle zattere … Non è la prima volta che guadiamo un fiume…” “Non l’abbiamo mai fatto con quaranta elefanti.”
La strategia di Scipione si fonda sull’anticipazione (“prima che Annibale e i cartaginesi riuscissero, dopo aver valicato le Alpi, a congiungersi con gli Insubri”), sul contenimento (“Dobbiamo impedire che i celti vadano a ingrossare le fila dei punici”) e, per mimesi, sulla sorpresa: “Voglio attaccare Cartagine, o comunque sbarcare in Africa e portare là la guerra”.
Il mio giudizio
Il romanzo - solido e documentato sul piano storico – è accattivante nel catturare l’attenzione del lettore anche attraverso aneddoti tanto famosi quanto scenografici, secondo una poetica del romanzo storico della quale abbiamo parlato con l’autore nel corso di una precedente intervista.
Così l’episodio dell’infezione che colpì un occhio di Annibale: “Dobbiamo estirparlo..” “Dovrai farlo tu…” “E quando saremo tornati a Cartagine, potrai consultare uno di di quei mercanti greci che vendono globi di cristallo”.
O il combattimento nel quale, per seminare panico, furono applicate fascine infuocate alle mandrie.
O, ancora, la spedizione ad Annibale della testa di Asdrubale, recapitata in un cesto…
Il linguaggio, pur ricco di riferimenti (“i signiferi che reggevano alti i vessilli e le insegne”), è accessibile a tutti, anche grazie all’utilizzo di apposizioni (“i loro attendenti, gli optiones”) o definizioni che traducono i termini latini (“I cornicines … suonavano … facendo uscire dai corni suoni lamentosi…”)
Da leggere. Un romanzo che non può mancare agli appassionati del romanzo storico.
Bruno Elpis
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