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Le recensioni di Bruno Elpis

Il taccuino perduto. Un’inchiesta di Monsieur Proust di Pierre-Yves Leprince (i-libri)

Pierre-Yves Leprincepredispone uno scenario (“1906, all’Hotel des Réservois di Versailles”) nel quale situa il giovane Noël, un efebo dall’aspetto leggiadro (“Quasi tutte desideravano passarmi la mano tra i capelli, come sono sottili, capelli d’angelo, o accarezzarmi le guance, che pelle di pesca, ti darei un bel bacio”) e dalla personalità ingenua, e un Grande del passato: il signor Proust (“L’uomo che scrisse Alla ricerca del tempo perduto adorava gli enigma”). Il taccuino perduto (per ben due volte: “A proposito della mia cara mamma, la perdita del taccuino mi addolorava soprattutto perché contiene alcune pagine in cui ho tentato di ricostruire stralci delle nostre conversazioni”) è l’occasione della conoscenza tra i due: perché Noël si guadagna da vivere lavorando come fattorino presso l’albergo e come apprendista detective presso un’agenzia d’investigazioni private. 

Con la curiosità della giovane età e la perspicacia del poliziotto in erba, Noël ritrova il taccuino (“Avete letto La lettera rubata del signor Edgar Allan Poe, signore?”) e conquista la fiducia e l’interesse dello scrittore. Tra visite e pranzi offerti da Proust, Noël intreccia un legame intenso fatto di apprendimento (“Mentre udivo per la prima volta la parola cafarnao e ne apprendevo il significato”), interessi comuni (“Trascorrere piacevoli momenti insieme: la passione per il canto e la musica”), ammirazione (“Il segreto di questo indagatore del tempo era considerare il Tempo come uno spazio da conquistare”), stimoli culturali (“Novello Achille piè veloce e novello Alcibiade spirito curioso, mi state chiedendo di comportarmi da novello Socrate e insegnarvi la filosofia camminando”), affetto (“Mi fece provare l’esperienza di una vicinanza reale”) .

Come avviene in ogni relazione affettiva che si rispetti, Noël incontra le gelosie del personale di servizio dell’albergo (“Daniel sembrava geloso”), molto sensibile alle laute mance elargite dalla generosità dello scrittore, e s'imbatte in reazioni emotive (“Il caso delle inglesi… scatenò... la collera del signor Proust contro di me”) ispirate alla produzione letteraria di Proust (“Il barone Charlus. In una celebre e magnifica scena… il gran signore si scaglia contro il piccolo borghese che è il narratore della Ricerca”). 

Intanto i casi che mettono alla prova la propensione per gli enigmi dei due protagonisti (“Anch’io ho iniziato un’indagine, ma la mia è di natura diversa e non so ancora dove mi porterà”) si susseguono e riguardano anche due omicidi: “Una somiglianza tra il passato - la borsa scomparsa e l’omicidio della signora Cornard – e il presente – il taccuino rubato e la morte di Joseph”. 

Nell’albergo si respira un’aria ambigua (“Joseph andava spesso a giocare a dama dal signor Proust”) e carica di sottintesi, e questo clima è l’humus naturale nel quale l’autore indaga sulla misteriosa intimità e sulle segrete inclinazioni di Proust. Per formulare una teoria che attribuisce eleganza e dolcezza alla dimensione più nascosta dell’autore del Tempo perduto e ritrovato (“I ricordi sono uccelli timorosi, se per caso ci passano accanto, non bisogna spaventarli”), un’originale mania ben lontana dalle pratiche delle perversioni che umiliano o feriscono. 

Le premesse di Leprince sono promettenti (“Mi ero ripromesso di non trattare argomenti che i lettori di Marcel Proust conoscono attraverso la sua opera”), l’intento nobile (“Se servirà a far nascere il desiderio di scoprire Alla ricerca del tempo perduto…”): il romanzo restituisce alla figura di Proust una fisionomia più accessibile e fruibile, “addomesticata” alle regole della narrazione di genere.
“Ci sono persone che approfittano del nostro amore per torturarci: quando capiscono di essersi spinte troppo oltre, se ne vergognano, chiedono scusa sperando che, così facendo, la preda non fugga via, appena la perdoniamo, tornano ad alzare la cresta come se niente fosse.” 

Bruno Elpis 

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