Le recensioni di Bruno Elpis
La profezia di Caravaggio di Matt Rees (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“La profezia di Caravaggio” è definito nella cover un thriller storico: in realtà è la biografia romanzata di un pittore “maledetto”, riscoperto dalla critica più recente che ne ha valorizzato vita, opere e concezione artistica interrogandosi sull’enigma della sua morte prematura. In quest’opera Matt Rees formula un’ipotesi rivoluzionaria sulla scomparsa di Caravaggio, gettando un’ulteriore aurea di mistero romantico sull’uscita di scena del pittore.
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio è marchiato in tenera età da una doppia tragedia familiare: nello stesso giorno, nonno e padre muoiono di peste. Il bambino tocca con mano il dolore e l’enigma della morte e quest’esperienza precoce indurrà in lui il senso dell’ombra e dello sfondo nero.
Costanza Colonna, la marchesa di Caravaggio, accoglie nella sua famiglia l’orfano Michelangelo e lo avvia alla pittura. Con Fabrizio, il figlio più piccolo di Costanza, Michelangelo intesse un rapporto d’amicizia ambiguo che ricorrerà in tutto il romanzo.
La biografia romanzata viene imbastita ripercorrendo tre scansioni attraverso le opere del Caravaggio: la fase romana (1605), quella maltese (1607), quella tra la Sicilia e Napoli (1608).
Il romanzo è particolarmente consigliato a chi ama l’arte figurativa e la mitica figura di un uomo che ha fuso genio e sregolatezza in capolavori che corrispondono anche ai gusti più contemporanei.
Il percorso pittorico
L’autore abbina gli eventi di una vita spericol … ehm, sregolata a opere nelle quali Caravaggio trasfonde incontri e sentimenti in un percorso travagliato e alterno.
Dopo il ciclo di San Matteo (San Matteo e l’angelo; Il martirio di san Matteo; La vocazione di san Matteo) “Santa Caterina d’Alessandria” rappresenta la contaminazione del sacro visto attraverso occhi umani in un naturalismo figurativo istintuale che si ispira a modelli e modelle – quasi tutte cortigiane - provenienti dagli strati sociali più umili (“La santa era appoggiata alla ruota chiodata che era stato il suo strumento di tortura … Accarezza quella spada come se fosse il membro eretto di un cliente d’alto bordo”).
La prostituta Fillide “Caravaggio l’aveva fatta posare per le sue Giuditta e Santa Caterina”.
La medesima ispirazione popolare anima “Marta e Maria Maddalena”: “A destra della tela aveva dipinto Fillide in posa come la Maddalena nel momento della sua conversione. Voleva equilibrare la composizione mettendo Prudenza nella posa di Marta …”
Di “Amor vincit omnia” si narra: “Il signor Giustiniani tiene il vostro Amor vincit omnia nascosto dietro a una tenda … quando lo scopre, i suoi ospiti rimangono scioccati, estasiati – alcuni perfino eccitati.”
In occasione dell’incarico per il dipinto de “La Madonna di Loreto” Caravaggio afferma: “Non dipingerò la Madonna che vola come un uccello, sappiatelo.”
A Roma Michelangelo s’innamora di Lena, una donna umile dedita a servizi domestici presso il cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V. La relazione è funestata dalla dolorosa e violenta interruzione di una gravidanza; Lena posa per “La morte della Vergine”, un quadro ove la dimensione terrena scandalosamente prevale su quella spirituale e mistica.
Ancora Lena ispira “La Madonna dei Palafrenieri”: “Lena era la sua Madonna, con la gonna tirata su per fare i lavori di casa, piegata in avanti per tenere in piedi Domenico, e con il piede nudo sulla testa di un serpente per mostrargli come ucciderlo … la madre di Lena accanto a loro, nella parte di sant’Anna …”
A Malta il Caravaggio approda per sfuggire ai parenti dell’uomo che ha assassinato a Roma e per conseguire lo status di cavaliere e la conseguente riabilitazione. Lì il rimorso per il delitto compiuto e il senso della morte imminente, presagito nel sentirsi costantemente in pericolo, hanno il sopravvento. Così nel “Ritratto di Wignacourt”, il Gran Maestro dell’ordine dei Cavalieri di Malta, “l’elmo che Caravaggio aveva dipinto nelle mani del paggetto … come se il ragazzo avesse tra le mani una testa mozzata.”
“Avete trasformato il ragazzino in una Salomé bionda, maestro.”
“Forse … il nostro amico Caravaggio ha il chiodo fisso della decapitazione.”
La “Decollazione di San Giovanni Battista” rappresenta l’apoteosi di questi impulsi: “Forse era arrivato il momento di riuscire a tirar fuori quei pochi secondi e farli uscire da quel luogo ricoperto dall’orrore in cui li aveva sotterrati.”
Un'altra zuffa induce il Caravaggio a fuggire da Malta. Ripara prima in Sicilia e poi a Napoli, ancora da Costanza Colonna. A questo periodo risalgono:
“Salomé con la testa di Giovanni Battista”
“Davide con la testa di Golia”: “Aveva dipinto se stesso, giovane e innocente, nei panni dell’addolorato carnefice dell’uomo adulto, dell’assassino, del condannato.”
In passato, nel 1599, Carvaggio aveva già dipinto Giuditta e Oloferne: un preludio al tema costante della decapitazione.
Un temperamento schietto e impulsivo
Uomo precipitoso (sempre in fuga, se ne era andato da Milano “per via di una storia con una prostituta sfigurata, per aver ferito gravemente il suo amante ingelosito, che era anche una guardia”), pronto a ricadere nei medesimi errori (“Ti servono dei soldi? Posso prestarteli io quei dieci scudi che tu devi a Ranuccio”), sempre proclive alla rissa (Ranuccio Tomassoni “è convinto che stiamo soltanto giocando a pallacorda. Ma bene presto si renderà conto di quale sia davvero la posta in gioco”), per nulla lungimirante (“Vi ricordo che a capo della famiglia Tomassoni c’è il comandante delle guardie di Castel Sant’Angelo … quindi, Tomassoni è qualcuno da cui dipende la vita del Santo Padre in persona”), tutt’altro che ipocrita, Caravaggio non esita a contraddire il potere costituito e l’arte più accademica o compiacente (“A partire dal San Matteo non avete fatto altro che stuzzicare gli artisti della vecchia scuola, come Baglione, fintanto che non hanno finito con l’odiarvi”).
La concezione pittorica
Caravaggio ha un metodo che si fonda sull’osservazione e la mimesi della realtà (“Lavora direttamente sulla tela, ispirandosi alla realtà – dai modelli che mette in posa nel suo studio”); utilizza accorgimenti studiati per meglio rendere l’istinto figurativo (“Nessuno però riusciva a capire cosa ci fosse dietro a quell’uso delle luci e delle ombre, dietro al lavoro con gli specchi e con le lenti, o alla scelta dei modelli che pescava tra le sue conoscenze più infime”).
In lui è fondamentale la concezione del chiaroscuro e dell’ombra: “L’ombra serve a metterti ancora più in risalto. Chi guarderà il quadro vedrà subito il volto di Fillide, ma per riuscire a osservare il tuo viso dovrà prestare molta attenzione …”
Con un risultato sorprendente: “… la tecnica di Caravaggio era qualcosa di più profondo – i suoi soggetti erano gli stessi già visti … ma lui riusciva a renderli in un modo che nessuno aveva mai visto prima.” Addirittura divino: “La tua pittura, Michele. La tua pittura ti è stata donata da Dio, e sarà essa a redimerti.”
Una cosa è certa: l’arte ha regalato dignità eterna a questo straordinario pittore...
Bruno Elpis