Le recensioni di Bruno Elpis
Mercurio di Amélie Nothomb (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Hg o Ermes? Le sindromi di Amélie
Hg o Ermes?
In chimica Hg è il simbolo del mercurio.
Mercurio, secondo la mitologia, è il messaggero degli dei.
Leggendo il titolo dell’opera, io avevo pensato al dio con il caduceo (“simbolo della medicina”) e i calzari alati, i talari o pédila (in greco).
Sono rimasto pertanto sorpreso quando ho visto che l’autrice con ‘mercurio’ si riferisce principalmente all’elemento chimico (“… si ostinava a restare disperso in goccioline …”) presente nei termometri (quelli di penultima generazione, visto che oggi i termometri sono fabbricati con un materiale meno inquinante): “... avevano ricevuto l’ordine di non lasciar passare nessun materiale riflettente. Ma chi poteva pensare al mercurio del termometro!”
Poi però Mercurio, inteso come dio, arriva! “Con una maiuscola, il mercurio diventa il dio messaggero, Mercurio”.
La storia è un po’ fiaba e un po’ no: come fiaba è un ibrido tra “La bella e la bestia” (“Si tratta della mia pupilla, Hazel, una ragazza che ho raccolto cinque anni fa, in seguito a un bombardamento che aveva ucciso i suoi genitori e l’aveva ferita gravemente”), “Il brutto anatroccolo” (“Ero solo un relitto fra migliaia di vittime di guerra che morivano come mosche”) e i miti greci.
Psicologismo immaginifico: le sindromi di Amélie
Potenza della rappresentazione artistica!
Amélie Nothomb ritrae una molteplicità di complessi psicologici (“Perché è impossibile fare del bene a qualcuno senza fargli del male?”) in una trama avvincente, incalzante e molto dialogata.
Innanzitutto ci imbattiamo nella famosa sindrome di Narciso: l’attrazione per lo specchio (“Essere arrivata in una casa che sembrava concepita per me, senza specchi e senza la più piccola superficie riflettente”), la paura per lo specchio (“Cosa c’è di più spaventoso di uno specchio?”), la morte a causa dello specchio (“Per me sarebbe fatale come lo fu per Narciso, ma per le ragioni opposte”).
Hazel, prigioniera da cinque anni sull’isola del vecchio capitano Omer Loncours, sembra anche affetta dalla sindrome di Stendhal: sia perché ha letto sessantaquattro volte “La certosa di Parma” (“Se lei fosse innamorata, vorrebbe passare una notte soltanto con l’oggetto della sua passione?”), sia per i riferimenti all’arte come fonte di emozione (“Mi trovavo in un quadro di Hieronymus Bosch: da ogni parte bruttezza, mostruosità, sofferenza, decadimento, ed ecco, all’improvviso, un’isola di purezza incontaminata”). Del resto “Stendhal ha detto: il romanzo è uno specchio che si porta con sé lungo la via”.
Poi troviamo il complesso di Morfeo, efficace palliativo per le giornate di prigionia: “Dormire è un’occupazione ottima e piena di buonsenso”.
Ancora, incontriamo la celebre e celebrata sindrome di Stoccolma: “I prigionieri non vogliono la libertà. Sta facendo come Fabrizio del Dongo: ama la sua prigione”. E ama il suo carceriere: “Una prigione, lo stupro sentimentale, l’abiezione: allora in fondo le piaceva”. Perché “è il colmo: la sequestra per anni e lei lo ringrazia!” Anche se “mancava l’ingrediente essenziale al vostro godimento perverso: uno spettatore”.
E che dire del complesso saffico al quale s’ispira la relazione tra l’infermiera Fran?oise (“Somiglia alla dea Atena: ha la bellezza dell’intelligenza”) e la pupilla Hazel, soggiogata dal vecchio capitano (“Il primo marzo io compio 77 anni; il 31 marzo tu ne avrai 23. Un mese fantastico, il marzo 1923, che ci permette di fare un secolo in due!”) sull’isola di “Morte Frontiere” dinnanzi al porto di Nodo?
Infine, l’autrice sembra affetta dalla sindrome di Giano: bifronte come il dio, Amélie Nothomb propone non uno, ma due finali. Un’autentica mostruosità estetica, che rende l’opera una divina creatura bicefala. Per la delizia del lettore, che incapperà nel complesso del Capitan Tentenna e non saprà scegliere quale preferire tra i due epiloghi …
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:33829/