Le recensioni di Bruno Elpis
Il dono del buio di V.M. Giambanco
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- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
Il 30 maggio esce in Italia, in anteprima mondiale, “Il dono del buio” di V.M. Giambanco: in diversi paesi l’opera ha scatenato un’asta agguerrita per l’acquisto dei diritti di quello che si annuncia come nuovo, eclatante caso editoriale. In Italia, la Casa Editrice Nord si è aggiudicata i diritti, anche in virtù della sua capacità di portare al successo autori esordienti, com’è avvenuto con Glenn Cooper.
Io ho avuto il privilegio di leggere il romanzo in anteprima e farò subito una considerazione: V.M. Giambanco ha collaborato alla realizzazione di film come “Quattro matrimoni e un funerale” e quest’esperienza cinematografica è percepibile anche nella sua scrittura. I personaggi sono sculture psicologiche, le scene sono pulsanti e si susseguono in diacronia e in sincrono senza esclusione di colpi.
Forse a causa delle sollecitazioni visive del romanzo, anch’io - nel commentarlo - vedo un’immagine che ben rappresenta “Il dono del buio”: lo shangai (o mikado), l’antico gioco cinese di destrezza e di pazienza che consiste nell’impadronirsi del maggior numero di bastoncini colorati, sfilandoli a uno a uno senza muovere gli altri. All’inizio del gioco, i bastoncini vengono lasciati cadere a ventaglio sul tavolo e si presentano in un intrico caotico.
Le bacchettine, nel romanzo, sono i numerosi fatti da riconnettere in sequenza logica.
Il bastoncino colorato di nero (quello che nel gioco vale più di tutti, perché da solo totalizza cinquanta punti!) è un feroce delitto: una strage familiare.
“La porta era spalancata: quattro corpi distesi sul letto, l’uno accanto all’altro, la carne come pietra, occhi bendati e mani legate, macchie viscide di sangue sui cuscini e i bambini che giacevano fra i genitori”.
Fin da subito emergono la ritualità del delitto che ha colpito la famiglia di James Sinclair (“Qualcuno si era dato un sacco da fare per allestire quel macabro spettacolo”) e la lucida follia dello scellerato architetto (“Quale che fosse il movente della strage, la mano che l’aveva portata a termine era ferma, sicura ed esperta. La diabolica quiete nell’occhio del ciclone”), che ha agito secondo una tragica coreografia: perché il capofamiglia “ha il volto bendato con un pezzo di velluto nero … sulla fronte, ha un segno simile a una croce, tracciato con il sangue.”
E gli altri bastoncini da raccogliere?
Li indico in ordine sparso – proprio come nel gioco – e senza esaurirne la gamma, per non togliere il gusto della sorpresa.
Un antefatto sembra essere la premessa: “Il 28 agosto 1985, tre ragazzini erano stati rapiti mentre stavano pescando in un parco, a Ballard. Si chiamavano David Quinn, di tredici anni, James Sinclair, suo cotaneo, e John Cameron, di dodici”.
Viene trucidato uno spacciatore di droga.
Nel carcere di stato McCoy, un detenuto viene ucciso e una croce di sangue viene disegnata sulla fronte: “Qualcosa di molto simile a quello che è capitato alla famiglia …”
Un cadavere è rinvenuto nel bosco: “Si chiama trappola a fossa. Serve a catturare gli orsi. Forse il morto era un cacciatore.”
Inoltre “sulla Nostromo sono morti in cinque. Due poliziotti, tre ex carcerati. Ha tagliato la gola a tutti, lasciandoli morire dissanguati”.
Nel mio immaginario shangai, la giocatrice più abile è “il detective Madison, della squadra omicidi di Seattle”.
Alice Madison è psicologa, ma è perseguitata da un incubo:
“Sua madre è morta cinque mesi prima e il dolore le stringe ancora il petto, quasi la soffoca”. “Papà non si muoverebbe furtivamente nell’oscurità”. “La mazza da baseball è sotto il letto e lei l’afferra …”
Ha sensibilità intuitiva: “Madison ne percepì la presenza, come in un’illusione ottica”. E intelligenza visionaria: “Fu allora che Madison lo vide per la prima volta: quell’uomo che aveva aspettato con calma che la vittima smettesse di dimenarsi, tenendola d’occhio mentre la vita scivolava via, e poi aveva lisciato le lenzuola sotto i cadaveri, spostando leggermente l’uno o l’altro, fino a completare il quadro … Nelle sua immaginazione lei era sulla soglia della stanza, in silenzio, osservando i gesti dell’uomo e cercando di scorgerne il volto”.
Per proseguire nella mia metafora: molti altri, insieme a lei, sono i giocatori intorno al tavolo. Come John Cameron (“Una linea retta collegava i morti al movente e le prove all’indiziato numero uno”) o l’avvocato Nathan Quinn (“Il primo giorno di giurisprudenza, ti insegnano che mai e poi mai dovrai porre domande al tuo cliente sulla sua presunta innocenza o colpevolezza. Un’eventuale risposta rischierebbe di influenzare la tua strategia difensiva, portandoti addirittura all’istigazione o allo spergiuro”).
Il thriller è condotto con abilità, ha dialoghi serrati e dimostra un tecnicismo in grado di soddisfare i palati più fini ed esigenti (“Siamo stati costretti a utilizzare quello mitocondriale … ovvero il DNA ereditato esclusivamente dalla madre”).
Il finale è convulso, buio come il buio del titolo, ma sinistramente illuminato da squarci di fuoco: “Piombarono nel bosco avvolto dalle tenebre, lontani dal bagliore delle fiaccole. La donna continuò a correre, gli occhi abituatisi alla notte”.
Che ne dite, vi è venuta voglia di sedervi intorno al tavolo e di disputare la vostra personale sfida a shangai con la Giambanco?
Bruno Elpis
http://www.i-libri.com/il-dono-del-buio-di-vm-giambanco.html