Le recensioni di Bruno Elpis
Amado mio di Pier Paolo Pasolini (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Il volume include due opere giovanili di Pier Paolo Pasolini: la prima, Atti impuri, è appena sbozzata e non ha ricevuto dall’autore una forma definitiva; la seconda, Amado mio, è più strutturata e coerente.
Atti impuri
In tempo di guerra (“Due continui pericoli, veramente ossessivi, dei tedeschi e dei bombardamenti”) Paolo (“Ho venticinque anni, l’età in cui Gozzano disse addio alla giovinezza…”) è sfollato a Viluta (“Eravamo esiliati in un borgo perso tra i campi, è vero, ma non troppo lontano però dalla stazione di Castiglione e dal ponte sul Tagliamento”) con la madre. Lì improvvisa una scuola e il contatto con i ragazzini infiamma i sentimenti del giovane (“Quelle linee affascinanti che costruiscono una bellezza efebica, dalla curva delle labbra ai complessi disegni del grembo e dei fianchi…”).
L’amicizia con Dina potrebbe offrire una copertura (“Un giorno, quando già sapeva tutto, giunse a propormi di divenire il mio schermo contro le dicerie della gente”) dell’interesse omoerotico che il giovane maestro indirizza sugli allievi.
Su tutti (“Quella girandola di sentimenti su cui la presenza di Gianni soffiava come un vento capriccioso”), s’impone l’amore per Nisiuti. Un sentimento che imbarazza il ragazzino (“Seppi la sofferenza di Nisiuti per essere preso in giro dalla gente a causa di quella nostra amicizia che ci rendeva indivisibili; e fu allora che capii per la prima volta la necessità di dominarmi”), le cui reazioni sono timide e impacciate.
Nonostante l’ambiente familiare liberale (“Non spirava dunque un’aria cattolica nella mia casa; un’aria morale e spirituale, questo sì”), il senso del peccato (“Tutto questo io dovrò scontarlo: è una colpa ormai senza attenuanti”) accompagna le folate del desiderio (“Egli, quella sera, era di una bellezza da potersi toccare come un oggetto: una luce dorata e minerale che splendeva nell’interno del suo corpo, accendendo più la sua carne molle e tiepida che i suoi occhi”) che si accentua nel senso dell’impossibilità (“Ogni dimensione dell’esistenza era occupata dal tepore del ragazzo – insieme al terrore di non poterlo avere mai”) e nel contrasto tra il senso dell’illecito e la purezza dell’amato (“Tutto era contenuto in lui, tutto quello che è necessario all’amore. E niente di chiuso, di inespresso, di adombrato: il suo mistero splendeva chiaro come il suo sguardo”).
Il paesaggio (“Oh, il risveglio in quella luce fredda e candida! Ristorato dal sonno, mentre il meriggio volgeva alla sera, sentivo respirare intorno a me una vita la cui troppa famigliarità mi dava una specie di struggimento”), i sapori (“Riconoscevo gli odori serali del fumo, della polenta e del gelo; riconoscevo le inflessioni della lingua…”), i riti collettivi adolescenziali (“Si andava a fare il bagno in una cava di ghiaia, tra i campi dietro il cimitero”) e i riferimenti autobiografici (“Trovai mia mamma ancora sveglia, che certamente pregava per mio fratello… si sentiva… volare e cantare una cinciallegra. Si era convinta che le venisse a portare buone nuove di Guido”) esaltano la disperazione (“Tethnakai d’aolos thelo… Vorrei veramente esser morto”).
Amado mio
Desi(derio) e Gil(berto) alternano le intemperanze giovanili (“in cantina a bere del suo vino”) al comune interesse per i ragazzi: Benito (“Il tuo nome non mi piace… ti chiamerò Iasìs… Un amore di fanciullo, di cui tutti si innamoravano”) e Mario, sui quali esercitano un ascendente per via dell’età (“Desi e Gil parevano passati di moda, spodestati, decaduti”). Una sagra, come quella di Marsure, è occasione per l’ebbrezza e per fare l’alba insieme.
Nello straordinaria atmosfera lagunare (“Al di là del canaletto lungo i polesini biancheggiava una lingua di sabbia bagnata…”) una gita a Caorle rappresenta un’esperienza (“Compriamo due o tre angurie intere e andiamo a mangiarle alle foci della Livenza”) che assume un significato di libertà (“Era quella doratura fallica che uno straniero come Desiderio annusa in ogni minimo fatto dei luoghi sconosciuti, quell’eros indigeno, collettivo, quasi folcloristico, che si spezza e si rifrange come in un prisma nella folla di ignoti vestiti a festa…”) e un senso di appartenenza forse illusorio (“Davanti a Gilda qualcosa di stupendamente comune invase tutti gli spettatori”).
Il racconto è struggente, le abilità descrittive di Pasolini eccezionali: “Il sole stava declinando e tutta la Valle ne raccoglieva gli stanchi bagliori nei fontanai e nelle lame, mentre per tutti gli acquitrini, i surtumi, i canneti si effondeva una luce dorata e tranquilla.”
Bruno Elpis