Le recensioni di Bruno Elpis
Chiedi alla polvere di John Fante (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“Chiedi alla polvere” è considerato il capolavoro di John Fante, autore che conobbe un successo tardivo, soprattutto grazie all’entusiasmo di Bukowski (“Ecco finalmente uno scrittore che non aveva paura delle emozioni”).
“Chiedi alla polvere” fu pubblicato nel 1939 da “Stackpole Sons di New York… la casa editrice… Di lì a poco, le finanze dell’azienda verranno irrimediabilmente danneggiate da un singolare contenzioso legale contro il governo tedesco, per la pubblicazione non autorizzata di Mein Kampf di Hitler” (dalla prefazione di Emanuele Trevi). “L’antifascista Fante addebitò spesso a questa strana convivenza nello stesso catalogo… la mancanza di un’adeguata promozione del suo capolavoro…”
“Chiedi alla polvere” è il terzo episodio che ha per protagonista Arturo Bandini (queste le tappe della saga: “Aspetta primavera, Bandini” – “La strada per Los Angeles” – “Chiedi alla polvere” – “Sogni di Bunker Hill”): ventenne, l’alter ego di John Fante si ritrova nella metropoli (“Los Angeles, dammi qualcosa di te! Los Angeles, vienimi incontro come ti vengo incontro io….”), in una stanza d’albergo - l’Hotel Alta Loma a Bunker Hill - che stenta a pagare (“Dovevo pagarla o andarmene, cinque settimane venti dollari”), con il sogno di diventare un grande scrittore dopo la pubblicazione del primo racconto (“Il cagnolino rise”).
Attratto dalle emigrate (“Le principesse azteche e maya in cui trasformavo le giovani peones…”), è alle prese con un difficile, conflittuale addio al celibato (“Il tuo senso estetico è troppo sviluppato per accettare tutto questo”), Bandini s’innamora di Camilla Lopez, inserviente del Columbia Buffet in Spring Street (“Lei era una principessa maja e quello era il suo castello”), che tuttavia non lo ricambia perché insegue un suo sogno d’amore – anche attraverso le esperienze della droga e della follia – fin nel deserto (“Oltre queste strade, attorno a queste strade, c’era il deserto che attendeva che la città morisse per ricoprirla di nuovo con la sua sabbia senza tempo. Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell’uomo, del terribile significato della sua presenza. Il deserto era lì come un bianco animale paziente, in attesa che gli uomini morissero e le civiltà vacillassero come fiammelle, prima di spegnersi del tutto”)…
Il romanzo è un interessante esperimento nel quale si rappresentano speranze generazionali (“siccome sei povero, speri di scrivere un libro che ti faccia diventare ricco, così quelli che ti odiavano, laggiù nel Colorado, ti ameranno”), creatività incipiente (“A volte un’idea fluttuava innocente per la stanza, come un uccellino bianco”), crisi d’identità giovanili (“Arturo Bandini, che non è né carne, né pesce, né niente”) e propulsivo desiderio di rivalsa in un contesto urbano che è crocevia di culture, ma anche di pregiudizi (“Non ospitiamo i messicani in quest’albergo… E nemmeno ebrei”) e di desideri d’affermazione, come affermato dall’autore nel prologo posposto al romanzo: “Così l’ho intitolato Chiedi alla polvere, perché in quelle strade c’è la polvere dell’est e del Middle West, ed è una polvere da cui non cresce nulla, una cultura senza radici, una frenetica ricerca di un riparo, la furia cieca di un popolo perso e senza speranza alle prese con la ricerca affannosa di una pace che non potrà mai raggiungere. E c’è una ragazza ingannata dall’idea che felici fossero quelli che si affannavano, e voleva essere dei loro.”
Particolarmente efficace è l’itinerario dell’innamoramento del Bandini ventenne: l’iniziale disprezzo per l’immigrata-inserviente, il disinteresse più ostentato che reale (“L’amore non era tutto. Le donne non erano tutto. Uno scrittore doveva conservarsi le energie”), qualche dubbio sulle proprie prestazioni personali, la disinteressata ostinazione finale (“Poi sentii che il suo disprezzo si stava trasformando in odio e fu allora che cominciai a desiderarla”). Questo turbinio di emozioni si manifesta al cospetto di una dimensione religiosa alterna, rancorosa, contraddittoria e malvissuta (“Era un terremoto.” “Ero stato io. Era mia la colpa”) tra rimorsi e sensi di colpa.
Lo stile del Fante si caratterizza per un perenne dialogo: ora alla seconda, (“Stavo spendendo troppo. Vacci piano Arturo; hai dimenticato le arance”) ora alla terza persona, (“Una cosa era certa: Arturo Bandini non era il tipo giusto per Camilla Lopez”), comunque essenzialmente sempre alla prima persona… il proprio alter ego!
Bruno Elpis