Le recensioni di Bruno Elpis
La riva del silenzio di Paul Yoon (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“La riva del silenzio” di Paul Yoon è quella sulla quale approda Yohan, giovane nord-coreano che, dopo l’esperienza della guerra e della prigionia in un campo americano, viene trasportato via nave in Brasile.
Difficile ricostruirsi una vita dopo gli orrori di un conflitto sanguinoso, ma – nonostante le premesse – Yohan ha un buon impatto con la nuova realtà, grazie a un sarto giapponese che con il giovane profugo instaura un rapporto silenzioso: “Da questa reticenza scaturì una sorta di intimità. Kiyoshi, che passava tutto il giorno dietro le vetrine del negozio con le spalle curve, intento a orlare un paio di calzoni o a sostituire i bottoni di una camicia. E dall’altra parte Yohan, anche lui assorto nel lavoro.”
Paul Yoon intreccia tre piani narrativi: quello della nuova vita in Brasile, con il sarto Kiyoshi che sembra parimenti nascondere un passato di dolore e con Bia e Santi (“Yohan sentì l’odore dei ragazzi, dei loro vestiti, dei capelli, del fiato. Sapevano di vernice e di spiaggia”) che “in città… chiamavano i medicanti bambini…”, quello dei ricordi del campo di prigionia con il compagno cieco Peng (“Come se per un breve istante la vita in quel campo di prigionia, vicino al confine meridionale del paese e in tempo di guerra, fosse diventata una sorta di prodigio”), quello del rapporto con il padre nella fattoria, interrotto dall’esplosione del conflitto (“Pupazzi di neve, era così che chiamavano Yohan e Peng… Li avevano trovati sui monti, sepolti sotto la neve poco lontano dal punto in cui era esplosa una bomba. Li avevano trovati perché il naso di Yohan spuntava fuori dal terreno innevato”).
La bellezza di questo romanzo risiede in una narrazione che è fatta di immagini semplici ed efficaci, attraverso sentimenti elementari e percezioni essenziali che sostituiscono la parola in relazioni ove il linguaggio è barriera piuttosto che un mezzo di comunicazione.
“La riva del silenzio” è un romanzo nel quale la storia deve essere intuita dal lettore, perché è nascosta sotto la coltre del silenzio che si fa rappresentazione: nel passeggiare sopra i tetti, nel sapore della luce del mattino, negli arrivi cadenzati della nave, unico legame con il passato, nell’osservazione reciproca di gesti e pianti, in una flotta di canoe che solcano il mare…
Io non so se il paragone che viene riportato nella quarta di copertina sia appropriato (The Boston Globe: “Una scrittura essenziale e bellissima, che a tratti ricorda la sincerità di Hemingway”), tuttavia riconosco che finalmente ho letto un libro ove la trama non prevale sull’espressione artistica della storia, perché l’autore non cede alle sirene del sensazionalismo e così con garbata allusività racconta tragedie umane e storiche (Ann Patchett, l’autrice di “Corri”: “Dietro ogni minimo tocco da miniaturista, in questo romanzo risplende una storia profonda e complessa. Una commovente meditazione sulla vita trascorsa in solitudine”) incantando il lettore.
Bruno Elpis
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