Le recensioni di Bruno Elpis
Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
L’esistenzialismo osceno
Innanzitutto due considerazioni estrinseche: una sul titolo, l’altra sulla cover del romanzo di Marco Missiroli.
Il titolo, “Atti osceni in luogo privato”, fa il verso alla rubrica di un reato: atti osceni in luogo pubblico. Reato che viene consumato con la cover: un’opera di Erwin Blumenfield, “Holy Cross (in hoc signo vinces)”, geometricamente oscena per rimanere in tema: “Ti vedevo a mille chilometri di distanza con la paura di scegliere tra la vita e l’oscenità, senza sapere che sono la stessa cosa. L‘osceno è il tumulto privato che ognuno ha, e che i liberi vivono. Si chiama esistere, e a volte diventa sentimento”.
Il romanzo attraversa l’evoluzione sessuale di Libero Marsell che, spiritualmente assistito da un’affascinante bibliotecaria anche quando si trasferisce da Parigi a Milano (“Le portavo i saluti di Giorgio, dell’osteria, le raccontai di Leoni e di Frida, delle tacche, di Marika”), attraversa le fasi dell’autoerotismo, dell’iniziazione, della dispersione gaudente prima e della ricomposizione sentimentale poi, in ciò forse traumatizzato in età infantile dall’aver assistito alla fellatio che la madre pratica all’amante.
Il sesso domina interessi e narrazione, la sua ossessione viene vanamente imprigionata in un’equazione elaborata dall’amico Antoine: “La formula della resistenza… Y = (C x SC) + D, ovvero: la resistenza alla tentazione (Y) era il risultato della costanza © moltiplicata per un ipotetico senso di colpa (SC) più una serie di distrazioni (D)… Le distrazioni erano le trentuno tacche che aveva inciso in un anno e mezzo”.
Parallelamente allo sperimentalismo monomaniacale di stampo sessuale, scorrono le dinamiche dei rapporti familiari (“La mia stagione famigliare era finita. E con essa la mansuetudine”): Libero parteggia smaccatamente per il padre, che ben presto muore dopo aver subito il dolore della separazione, ma poi con il tempo perviene a ricomposizione, comprensione e ammirazione della figura materna.
La parte forse più interessante del romanzo è rappresentata dal ruolo che libri e cinema (su tutti la novelle vague di Truffault: I cento colpi, Jules et Jim, Le dernier métro) rivestono nella maturazione erotica, psicologica e personale del protagonista.
Dopo il primo, entusiastico approccio (“Lo straniero era colpevole e imperterrito, quanti innocenti abbandonati, al contrario, attendevano il patibolo? Camus aveva scritto una storia di indiani”), i libri si susseguono (“Addio alle armi, Fontamara, Il commesso”) e scandiscono il tempo sino all’adultità (nella quale impazzano Faulkner e Kundera).
Merito dell’educazione ricevuta (“Il Lycée Colbert l’aveva voluto lei perché pubblico, multietnico, culla della nuova classe dirigente progressista. Era una scuola… bourgeois-bohème”)?
Merito della cultura dell’epoca (“Cominciò l’epoca dell’indignazione. La prima vittima fu padre Dominique”)?
O piuttosto dell’atmosfera parigina, pregna di un esistenzialimo (“Quell’uomo e Camus erano amici”) che si manifesta anche nell’intonazione narrativa (“Pianse di colpo, e piansi anch’io. Non per nostalgia, non per desiderio, ma perché le cose finiscono”).
La morbosità tematica del romanzo viene annegata nell’intellettualismo e nella letteratura, in un risultato che si affida agli effetti scenici (“Più volumi troverai in casa di una persona e maggiore sarà il suo grado di infelicità”) per molcire (o corroborare?) la tensione dell’oscenità.
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-italiana/discussions/review/id:49190/