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Le recensioni di Bruno Elpis

Il male oscuro di Giuseppe Berto (qlibri)

coverDallo psicanalista bisogna togliersi le scarpe? 

Il male oscuro è un’opera acclamata  (premio Campiello e premio Viareggio nel 1964), nella quale con la tecnica  del flusso di coscienza Giuseppe Berto analizza il conflitto edipico con il padre (“Niente riesce a togliermi dalla mente il pensiero del padre mio che sta prendendosi la sua legittima vendetta”): dopo la morte del genitore (“Proprio l’abbandono del padre in punto di morte avrebbe determinato il conflitto morale che mi ha condotto alla psiconevrosi”), compare una malattia difficilmente classificabile, che mina la vita del protagonista, uno sceneggiatore sempre assediato dalle necessità economiche (“Io sono povero non ce la farò mai a diventare ricco e neppure celebre”), procurate sia dal ricorso a costosi consulti e ricoveri, sia da una moglie (“Riesco a caricarle su una vettura letto del direttissimo per il Brennero o Brennero Express come propriamente si chiama”) che ha scarso senso dell’economia domestica (“Attraverso le spese particolarmente inutili lei manifesta una specie di volontà di potenza o qualche altra cosa di parimenti diabolico che a mio avviso potrebbe anche ravvicinarla a Stalin”). 

La lotta contro l’insidioso morbo (“Questa malattia spaventosa che mi ha bloccato l’energia creativa insieme al gusto di fumare e al beneficio di andare di corpo senza angoscia…”) e le sue ramificazioni (“Non sono privo di una certa fisima chiamata agorafobia”) è alterna (“Quelle capsulette nuove che il medico mi aveva consigliato e si chiamavano psicoplegici”), a tratti spassosa (“l’Alpe di Siusi dove manicomi non ce ne sono”) perché ingenera situazioni grottesche (“Pare che io sia l’unico esemplare di analizzando che si fa analizzare senza le scarpe”), talvolta sofferta nella ricerca dell’evento o del peccato (“Se fossi morto sarei andato dritto ad arrostirmi nelle fiamme dell’inferno…”) scatenante una patologia che assume sempre più le sembianze della nevrosi da complesso edipico (“Ho l’impressione che il lavoro da fare sia togliermi di dosso per quanto è possibile il rimorso dei numerosi parricidi”), per la quale si rivelano determinanti le sedute psicanalitiche (“Pur non credendo nella psicoanalisi credo sconfinatamente in quest’uomo”).

In questo contesto, è naturale ripercorrere il passato, utilizzando una memoria vivacizzata da impulsi estemporanei (“Quando mi chiedevano che mestiere avrei fatto da grande avevo vergogna di rispondere che avrei fatto l’uomo del latte, rispondevo invece che avrei fatto il prete”). 

L’esposizione ironica delle teorie freudiane – memorabili le pagine che descrivono la triade es/ego/superego (“Noi siamo composti di tre parti, una delle quali si chiama Es…”) e la classificazione in tipologie (“Il tipo coattivo, a differenza del tipo erotico dove prevale l’Es e del tipo narcisistico dove prevale l’Io…”) – fa di questo romanzo la naturale evoluzione de “La coscienza di Zeno”, in una narrazione che sfiora anche “Il malato immaginario” pur mantenendo un’originalità stilistica di grande impatto.
Lo stile (“Spoleto… festival dei Due Mondi ci sarà un concerto in piazza, ossia una Messa in non so che cosa di Frescobaldi.. stupenda piazza del Duomo con le rondini che girano stridendo da matte… è costruita in collina il che significa che è un po’ mossa e piuttosto carente di linee rette in tutti i sensi, sicché vado in giro mezzo stordito”) è lo stesso che ritroviamo in alcuni scrittori dei nostri giorni, quindi ha fatto scuola: la prosa non conosce segmentazione in periodi e rappresenta con efficacia il libero flusso dei pensieri, sino a un finale tragicomico, nel quale si frantumano i sogni di gloria inseguiti nell’inconcludenza creativa della pagina bianca (“Per non andare avanti col quarto capitolo verso la mia gloria…”), ove si è arenato il  romanzo che il protagonista sta scrivendo. Quello che dovrebbe essere un capolavoro (“Una storia d’amore tra due ragazzi e in più senza fatti”) e che in realtà è soltanto motivo d’afflizione... Non così nella realtà, perché Giuseppe Berto il suo capolavoro è riuscito a scriverlo, proprio con “Il male oscuro”. 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-italiana/discussions/review/id:48548/