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Le recensioni di Bruno Elpis

Lunga notte di Medea di Corrado Alvaro (qlibri)

Ispirato dal momento storico (1949), Corrado Alvaro nella “Lunga notte di Medea” propone una rilettura inedita della figura tragica della principessa della Colchide, rispetto alla quale, sono parole dell’autore, “Giasone non è l’eroe… ma un personaggio affatto moderno, spinto dalla sua stessa ambizione a liquidare il suo passato eroico per assumere un rango politico”. 

A Corinto Medea presagisce l’abbandono di Giasone, al quale spera di opporre il proprio ruolo, se non di amante, almeno di madre (“Non difenderà me? Difenderà i suoi figli. E l’ultima difesa della donna sono le creature che hanno bisogno della sua protezione. Ci si rassicura pensando che egli ama i figli, e perciò avrà considerazione di noi”). Nelle battute della tragedia affiora progressivamente la consapevolezza di una condizione di estraneità (Medea chiede a Nosside: “Tu credi che per gli esuli non ci sia più terra?”) che diviene sempre più chiara e grave nel colloquio con Egeo: “E sai chi sono i peggiori persecutori degli esuli? Quelli che si fecero un vanto di proteggerli. E sai perché? Perché temono il nuovo occupante.” Naturalmente la memoria corre ai drammi collettivi della storia e delle persecuzioni di massa.

Quando Creonte toglie a Medea ogni illusione su Giasone (“Sposerà Creusa, mia figlia”), gli eventi precipitano tra tentativi estremi di razionalizzazione (“Era illecita. Era sporca. Così fu concepito il nostro figlio più grande… Era un sacrilegio”), superstizione (“Abbiate paura dei doni della fattucchiera!”) e giustizialismo (la folla grida: “La vipera e i piccoli serpenti!”). 

Il testo teatrale del 1949 fu composto su sollecitazione dell’attrice Tatiana Pavlova. A tal proposito Alvaro ebbe a dichiarare: “Io sono di quegli scrittori cui piacerebbe di lavorare su commissione. Sono convinto che uno scrittore, naturalmente su fatti congeniali, sapendo a chi sia destinata la sua opera, possa lavorare con minore incertezza…” Lo scrittore stesso fornisce la chiave interpretativa dell’opera: “Medea mi è apparsa un’antenata di tante donne che hanno subito una persecuzione razziale, e di tante che, respinte da nazione a nazione, popolano i campi di concentramento e i campi profughi”.
In questa accezione, Medea uccide i figli non perché accecata dalla gelosia, umiliata nella passione e desiderosa di vendicarsi di Giasone, ma per non esporre i piccoli alla tragedia dell’esilio e della fame… consumando un sacrificio personale e familiare nell’olocausto dinastico.
Corrado Alvaro conferisce al mito di Medea un contenuto storicamente evolutivo in un’intonazione tragicamente attuale, oggi riferibile – forse e con un salto interpretativo lungo più di mezzo secolo - anche alla drammatica e disperata diaspora in atto nel Mediterraneo... 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/arte-e-spettacolo/discussions/review/id:43545/