Le recensioni di Bruno Elpis
La metamorfosi di Franz Kafka (qlibri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Scarafaggio!
Al suo risveglio Gregor Samsa si scopre trasformato in insetto e assiste piuttosto passivamente al mutare della propria condizione e alle reazioni degli altri. La storia è stata per lo più intesa come allegoria della diversità, della degradazione prodotta dalla società borghese e dell’alienazione indotta dai rapporti familiari, in interpretazioni che hanno variamente privilegiato la valenza metafisica, psicanalitica o sociologica. Io preferisco pensare che il lettore sia invitato a una sfida interpretativa personale.
SURREALISMO
Il racconto è surreale sia per la genesi (dal carteggio con Felice Bauer emerge che la mattina del 17 novembre 1912, dopo aver lavorato fino a tarda notte a “Il disperso”, Kafka si svegliò da un sonno agitato con un'idea fissa: che sensazione si prova se al risveglio ci si trova trasformati in un insetto?) sia per l’incipit (quando il protagonista capisce di essere stato “trasformato in un insetto gigantesco”, constata che “non era un sogno”) sia per la struttura in tre parti che potrebbero simboleggiare nascita, maturità e morte.
Ma surreale è soprattutto l’atmosfera assurda-estraniante-estraniata che domina la narrazione e sembra appartenere più al sogno che alla vita reale. La metamorfosi non è motivata in alcun modo e viene descritta con precisione nella sua evoluzione. Inizialmente Gregor è preoccupato più dal proprio impegno lavorativo (“Devo alzarmi, il mio treno parte alle cinque”), dall’impossibilità di farvi fronte (“Che cosa doveva fare ora?”) e dal timore di una sanzione (“E anche se avesse preso quel treno una sfuriata del principale sarebbe stata inevitabile”). La nuova condizione è ritenuta plausibile (“Non aveva alcun dubbio che il mutamento della voce non fosse altro che il prodromo d’un bel raffreddore, una malattia professionale dei viaggiatori in commercio”) e fin da subito accettata (“E si mise all’opera per spostare il corpo in tutta la sua lunghezza fuori dal letto mediante un dondolio uniforme”). La preoccupazione del protagonista rimane estrinseca (“Gregor cercò d’immaginare se al procuratore potesse accadere qualcosa di simile a quanto era successo a lui; bisognava ammettere che la possibilità esisteva”) e dominata da fattori esogeni (“Era curioso di sapere che cosa avrebbero detto gli altri”) e relazionali (“il pensiero di essere stati colpiti da una sciagura come nessuno nella loro cerchia di parenti e amici”) più che intimamente tragici. L’epilogo è parimenti pseudo-razionale (“Ma come potrebbe essere Gregor? Se fosse stato Gregor si sarebbe già reso conto che la convivenza di esseri umani con una bestia simile non è possibile e se ne sarebbe andato spontaneamente”) e spietatamente lucido.
IL COMMESSO VIAGGIATORE
L’opera è del 1916 e Kafka sceglie per Samsa la professione (“Samsa era un commesso viaggiatore”) che nel 1949 Arthur Miller prediligerà per Willy Loman in “Morte di un commesso viaggiatore” per rappresentare il potere reificante della felicità materiale.
L’INSETTO NELLE METAMORFOSI
Su questo punto, devo ammetterlo, ho fatto alcune riflessioni da pseudo-entomologo.
Ho pensato alla potenza poetica e metaforica della metamorfosi bruco-crisalide-farfalla.
Ho valutato che nei miti antichi i greci scelsero principalmente insetti utili, positivi, industriosi. Melissa, l’ape in greco, è il nome di alcune ninfe e designa le sacerdotesse in diversi culti (Demetra, Persefone, Artemide, Apollo Delfico). Anche Zeus viene talvolta chiamato Melisseo (uomo-ape), perché nell’infanzia era stato nutrito dalle api di Creta, alle quali aveva donato il colore dell’oro.
Nelle sue Metamorfosi Ovidio narra che Eaco viveva solo nell'isola di Egina e, per sfuggire all’isolamento, chiese al padre Zeus di dargli compagnia. Zeus esaudì il desiderio mutando le formiche in uomini (i Mirmidoni da mirmex-formica).
“Qui noi scorgemmo una fila di formiche in cerca di semi, che portavano grandi fardelli con la bocca minuta e seguivano un loro sentiero fra le rughe della corteccia. Sbalordito dal loro numero: «Tu che sei il migliore dei padri» dissi, «colma il vuoto delle mura e dammi altrettanti cittadini»…” (Ovidio, Metamorfosi VII).
Kafka esordisce in modo generico (“un insetto gigantesco”), poi circoscrive la visione con approssimazioni successive (la predilezione per i cibi avariati, l’impossibilità di vocalizzare parole, la verticalizzazione della mobilità sulle pareti). Soltanto in fase avanzata del racconto, la “servetta” qualifica la metamorfosi: “Vieni qui, vecchio scarafaggio”.
Aggiungo un ultimo pensiero, non pertinente. Lo confesso, sono andato a scartabellare se l’origine del nome del complesso pop più celebre del secolo scorso (il cui nome è una crasi tra beat-battito e beetle-scarafaggio) avesse qualche attinenza con Kafka…
Bruno Elpis
http://www.qlibri.it/recensioni/classici-narrativa-straniera/discussions/review/id:43313/