Le recensioni di Bruno Elpis
“Ti prego lasciati odiare” di Anna Premoli, romanzo vincitore del premio Bancarella 2013 (Malgradopoi)
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- Scritto da Bruno Elpis
Il riconoscimento a un romanzo che, in tutta semplicità, celebra una storia d’amore fa riflettere.
Che sia desiderio di fiaba, voglia di romance o fuga nel sogno, probabilmente incarna un impulso diffuso, che sfida l’atteggiamento facilmente sprezzante e pericolosamente intellettuale di chi è pronto a sottovalutare fenomeni come questo: “il primo vero caso italiano di self-publishing fortunato” (Mauro Baudino su La Stampa), un successo “scelto dai lettori grazie al passaparola”.
Io ho letto “Ti prego lasciati odiare” di Anna Premoli e mi sono divertito fino in fondo: ho cercato di smascherare qual è il segreto della piacevolezza di un romanzo che narra una storia d’amore tra due colleghi di lavoro in una banca d’affari. Jennifer, intelligente e ostinata figlia di “genitori alternativi” (“Sono pur sempre la figlia di ambientalisti e pacifisti convinti”); Ian, rampollo di famiglia nobile (“Il conte di Langley…schifosamente, fastidiosamente, oggettivamente attraente”), impegnato a dimostrare il suo valore intrinseco indipendentemente dalla dinastia (“E’ un bel ragazzo, di sangue blu e tutto il resto, ma ho come il sospetto che per lei questo non sia proprio un valore”).
La struttura della fiaba
Sarò banale, ma uno dei motivi che ho individuato è proprio questo: ridotta all’osso, la storia concretizza la tensione verso il lieto fine enfatizzato dai contrasti. Siano contrapposizioni caratteriali (i due protagonisti sono testardi, cocciuti, bellicosi), divergenze familiari (lei proviene da una famiglia progressista, vegana, pacifista e ambientalista; lui appartiene a una famiglia conservatrice, carnivora, cacciatrice) o differenze sociali.
Tutto congiura verso l’epilogo fiabesco del Principe Azzurro che si inginocchia dinnanzi alla Biancaneve o alla Cenerentola di turno, le infila sul dito un anello con diamante da cinque carati, le giura fedeltà e felicità eterna secondo il più classico, velleitario e scontato dei finali: e vissero felici e contenti! Magari passando anche per un castello con tutti i crismi (“Che razza di castello vuoi che sia Revington?”)…
La formula della commedia americana
Se poi la storia viene presentata secondo il cliché della commedia americana, per tutto il corso del romanzo l’animo del lettore sarà accarezzato da evocazioni cinematografiche, sarà cullato dall’ironia ora ordinaria ora paradossale, sarà divertito da luoghi comuni prevedibili o sorprendenti.
Così i paparazzi che fotografano Ian e Jennifer ricorderanno quelli di “Notting Hill”; l’amore per l’uomo affascinante e conquistatore richiamerà l’infatuazione di “Sabrina”; l’eleganza patinata del bel mondo sarà la medesima di “Colazione da Tiffany”; l’eventualità di una commistione tra sangue blu e common people evocherà “Vacanze romane”; il progressivo affermarsi di un amore inizialmente impossibile farà rivivere “Pretty woman”…
Mentre la protagonista Jennifer, oscillando tra la “bisbetica domata” di Shakespeare e la Bridget Jones della filmografia recente, conquisterà simpatie e tifo di chi legge le sue avventure (“Voglio fare il giro nei giardini come una vera protagonista di un romanzo regency!”).
Bruno Elpis