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Le recensioni di Bruno Elpis

Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini (qlibri)

Volare nel cielo sospinti dal vento. Come un aquilone afghano.

L’aquilone è un gioco che, da sempre, esprime il senso della libertà. Durante l’infanzia, io stesso ne ho costruiti: incrociavamo due cannucce, applicavamo la carta velina colorata e ritagliata a rombo, appiccicavamo una coda ad anelli del medesimo, leggerissimo materiale. Un filo di cotone arrotolato in un rocchetto e poi … via, nel vento! Oggi mi capita – facilmente in spiaggia – di vedere qualche bambino che fa volare l’aquilone e non nascondo che, in quella visione, la mia mente vola.

Naturale – con un passato artigianale come quello descritto – rimaner colpiti dall’interpretazione che, in una diversa cultura (quella afghana), viene data al gioco.
A Kabul la caccia agli aquiloni è un evento del quartiere: due ragazzini amici, coetanei e conviventi, Amir (l'io narrante, di etnia Pashtun) e Hassan (di etnia hazara e figlio di Alì che presta servizio nella casa di Amir) vi partecipano. Amir patisce una sorta d’inferiorità-complesso nel rapporto con il padre Baba, che sembra addirittura prediligergli Hassan (ha pagato di tasca propria l'intervento chirurgico per correggere il labbro leporino del bambino). Quando Amir compie dodici anni, la caccia agli aquiloni è forse l’ultima occasione per dare al padre una prova di abilità. E conquistarlo. A qualsiasi prezzo.
Lo scopo del gioco è tagliare, per mezzo del proprio aquilone, il filo di quello degli altri concorrenti. Gli aquiloni diventano di proprietà di chi li recupera. Chi taglia il filo del penultimo aquilone rimasto in aria ha vinto la competizione e, se riesce a recuperarlo, ne fa il suo trofeo.
Amir riesce finalmente a vincere la gara: nell’operazione di recupero del penultimo aquilone per l'amico, il fido Hassan s’imbatte in tre ragazzi che, sospinti dall’odio razziale e per vendicare un episodio passato, umiliano il ragazzino con una terribile violenza. Amir assiste, ma non interviene: è paralizzato dalla paura e soprattutto teme di vedersi sfuggire il trofeo con il quale spera di conquistare definitivamente la stima di suo padre.
La storia prosegue, lunga e complessa, intersecando i fatti di guerra che devastano l’Afghanistan e il senso di colpa di Amir, che – emigrato negli Stati Uniti – diviene scrittore. Una telefonata inattesa lo raggiunge nella casa di San Francisco e gli offre l’occasione per attenuare il rimorso: tornando nella sua terra natale, per trovare Sohrab, il figlio orfano di Hassan, e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma a Kabul, oltre ai fantasmi del passato e della colpa, Amir incontrerà una verità sorprendente, in una cultura ove le donne sono oppresse e in una realtà ove gli aquiloni sono ormai relegati nello scantinato della memoria.
coverL’opera è coinvolgente, ricca di risvolti storici e culturali, oltre che psicologici. Inoltre consente di entrare nel tessuto vivo e dilacerato di un paese che, purtroppo, ricorre troppo spesso nei bollettini di guerra: e attraverso l’autore, ho vissuto finalmente un dolore che la ricorrenza quotidiana delle notizie – ahinoi, per un cinico meccanismo umano: quello dell’assuefazione - ha purtroppo anestetizzato.

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:33573/