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Le recensioni di Bruno Elpis

Il sosia di Dostoevskij

coverIl doppio secondo la prospettiva Nevskij

Jakov Petrovic’ Goljadkin è consigliere. Lavora al dipartimento e conduce una vita da burocrate, troppo seria e timorata. Al punto che gli si consiglia di “non evitare la vita allegra; frequentare gli spettacoli e il club e in ogni caso non essere nemico della bottiglia. Non vi giova restarvene in casa…”. Tutto ciò fino a che, dopo una delusione d’amore,  s’imbatte … in se stesso. In una fase della vita nella quale si rende conto che “non soltanto anelava a fuggire da se medesimo, ma addirittura ad annientarsi, a non esistere più, a polverizzarsi”. In una Pietroburgo ove “il vento urlava nelle strade desolate, sollevando al di sopra delle catene del ponte l’acqua scura della Fontanka e sfiorando minaccioso i sottili lampioni del lungofiume, che a loro volta rispondevano ai suoi ululati con scricchiolii acuti e penetranti…

 

Inizialmente il sosia è poco più che una sensazione: “aveva l’impressione che qualcuno … fosse lì ritto accanto a lui, al suo fianco, appoggiato come lui al parapetto del lungofiume…” Poi diventa una consapevolezza: “L’amico della notte non era altri che lui stesso, Goljadkin, un altro Goljadkin in tutto identico a lui; era, in una parola, ciò che si chiama il proprio sosia, sotto tutti i rapporti…” E, mantenendo una valenza psicologica (“Colui che ora stava seduto dirimpetto a Goljadkin era il terrore … la vergogna … l’ossessione di ieri … era in una parola lo stesso Goljadkin”) l’entità aliena fa sentire Goljadkin come “un uomo alle cui spalle un monello si è divertito a puntargli contro uno specchip ustorio”.
Poi la presenza del sosia si fa sempre più ingombrante, acquisisce vita propria e viene percepita anche dagli altri, a partire dal domestico Petruska. Da quel momento, accanto a “Goliadkin uno” e in antitesi con la sua natura mite e rispettosa, “Goliadkin due” provoca la sua controfigura, si misura con lui, lo tradisce: dispettoso, arrivista e “leccazampe”, perfino insolente.

Con il tema del doppio Dostoevskij anticipa tutti: Freud (che nel doppio ravviserà un elemento atto a scatenare il perturbante), la letteratura psico-sociologica che descriverà nevrosi, alienazioni e reificazioni di ogni genere, la letteratura di tensione che, sull’archetipo dei gemelli, quante storie ha imbastito? Si pensi, per esempio, al tema dell’abisso, che ne “Il sosia” viene così rappresentato: “La sua condizione in quel momento rassomigliava alla condizione dell’uomo ritto su un precipizio spaventoso, mentre la terra si apre sotto di lui e già frana, già si muove, sussulta per l’ultima volta, crolla, lo trascina nell’abisso; e intanto l’infelice non ha più né la forza né la fermezza d’animo di balzare indietro, di distogliere gli occhi dal baratro spalancato; l’abisso lo attrae ed egli finalmente vi si slancia, affrettando egli stesso il momento della sua rovina”.

Romanzo riuscito? Difficile dirlo. Io l’ho trovato molto interessante, ma la lettura non è stata per niente facile.
Certamente il tema della follia è trattato in modo originale: Dostoevskij sembra quasi che si collochi all’interno, nel gorgo dei misteri della mente, e produce un’opera ove linguaggio e costruzione delle frasi rispecchiano convulsione e sbalzi della malattia in progresso.
Lo stesso Dostoevskij ripose molte aspettative in questo suo secondo romanzo, dopo il successo di “Povera gente”. Più tardi, al culmine del successo, dichiarò di non aver mai sviluppato un’idea più seria di quella posta alla base del “Sosia”, anche se l’attuazione di quell’idea - così affermò lo stesso autore - non gli riuscì.

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/classici-narrativa-straniera/discussions/review/id:33480/