Le recensioni di Bruno Elpis
Come in una tomba di James Purdy (i-libri)
- Dettagli
- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
Il ventiseienne Garnet Montrose (“Mi chiamo Garnet Montrose. È un nome che sconcerta la gente… ero un gran ballerino… il nome non lega con il cognome… è un nome da donna mentre il cognome suona troppo storico”) vive Come in una tomba, nel romanzo omonimo di James Purdy, per via dell’aspetto orribile che gli deriva dalla guerra (“In seguito alle ferite riportate in guerra nel mare della Cina Meridionale il mio aspetto è tale che chiunque ha il voltastomaco al vedermi e si mette a vomitare, se pure non sviene”).
Dopo la ricerca non facile di un assistente (“Ci furono almeno quattro candidati prima che arrivasse il mio preferito… penso che fosse inviato dal Creatore di Tutte le Cose, ammesso che esista”), ne trova due: il nero Quintus (“Non voglio un domestico, Quintus. Voglio qualcuno che mi legga e mi massaggi i piedi”) e un fuggiasco dello Utah, Potter Daventry.
A quest’ultimo viene assegnato l’incarico di recapitare le lettere (“Lettere di cui tenevo le copie sbiadite”) alla vedova Rance, della quale Garnet è innamorato (“Tenga le lettere che lui le manda, non intende farle del male”); ma ben presto i ruoli si ribaltano: la vedova s’innamora di Daventry (“Tutto quello che voleva era vedermi nudo”) e tra quest’ultimo e Garnet si crea un rapporto viscerale (“Per la prima volta da quando ero stato massacrato e ridotto come una spremuta di more, un esser umano aveva dimenticato quanto ero orrendo e mi aveva toccato e abbracciato e chiesto conforto, dimenticando che sembro un aborto o un mostro da incubo”), che suscita le gelosia di Quintus (“Stai diventando spaventosamente intimo con quel fuggiasco”). Tanto più che ciascuno dei due nasconde un segreto: Garnet ha un’abitudine notturna (“Il mio segreto che nessuno conosce”), Daventry un passato fuorilegge (“Hai perso i denti in quella colluttazione?”).
Quando Garnet rischia di perdere la proprietà (“Mi mostrarono la notifica dell’ipoteca scaduta”), Daventry promette di salvarlo (“Salverò la tua terra e la proprietà se ti comunicherai con me”) con un rito propiziatorio. Seguono giorni confusi (“Un tipo sbagliato d’erba, che tra l’altro aveva portato Daventry… da quando ho le pillole che mi ha dato il dottore io non l’adopero”), il legame tra reduce e paracleto s’intensifica (“Sarei morto finalmente, e benché volessi morire non volevo morire senza di lui”) ai limiti della mistica (“Quando aveva suonato l’armonica avevo capito che non era un essere umano”; ndr: la musica è On the Alamo).
In un crescendo dell’ambiguità relazionale, il finale è concitato: sulla Virginia sta per abbattersi un uragano spaventoso (“Ho paura del vento, questo è sicuro”) e nella notte avvengono incontri ai limiti dell’onirico (“Adesso c’era una coppia che la luna non aveva mai veduto prima. Eravamo ballerini nella tomba, io credo”).
Garnet acconsente alle nozze di Daventry con la vedova (“Daventry mi aveva insegnato ad ascoltare di nuovo i venti e l’oceano”), ma l’uragano è fatale… Dopo la morte di Daventry, la vedova vorrebbe concedersi a Garnet (“È strano, ma quando ottieni ciò che desideri da tanto scopri che desiderare era meglio, desiderare fa più male, ma si avvicina di più a quello che vuoi”).
Lasciamo alla Postfazione di Jerome Charyn il giudizio finale di un romanzo fuori dagli schemi, originale nell’evoluzione e interessante tanto nella costruzione quanto nel linguaggio: “James Purdy è il fuorilegge della narrativa americana… Purdy non celebra le meraviglie del nostro quotidiano, ma mette il dito sulla piaga, affronta le paure della nostra vita notturna, l’aritmetica scabrosa dei sogni”.
Bruno Elpis