Le recensioni di Bruno Elpis
Serotonina di Michel Houellebecq (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
I romanzi di Michel Houellebecq si caratterizzano nel contestualizzare il disagio esistenziale dell’uomo contemporaneo tra i cambiamenti epocali in atto: il progresso scientifico e il neopositivismo filosofico a fronte del fallimento dei movimenti intellettuali e sociali del XX secolo ne Le particelle elementari, la progressiva islamizzazione in Sottomissione.
L’attesissimo Serotonina si concentra sul disagio individuale (“Morire di tristezza è una cosa che esiste, ha un senso?”), mentre l’analisi sociologica rimane sullo sfondo di una società condannata alla progressiva pauperizzazione, tipicamente nel comparto agricolo.
Il protagonista Florent è un quarantaseienne (“Nerval… si era impiccato proprio a quarantasei anni, e anche Baudelaire era morto a quell’età, non è un’età facile”) in crisi d’identità sentimentale (con la giapponese Yuzu: “La nostra coppia era in fase terminale. Non c’era più niente che potesse salvarla…”) e professionale (“Il mio lavoro al ministero dell’Agricoltura mi aveva stufato più o meno quanto la mia compagna giapponese”): fronteggia il malessere ricorrendo a un farmaco (“Gli effetti secondari indesiderabili del Captorix riscontrati più spesso erano la nausea, la scomparsa della libido, l’impotenza”).
Decide di troncare la relazione in corso e di sparire (“Ogni anno, in Francia, più di dodicimila persone decidevano di sparire”). Si rifugia prima in un albergo parigino, l’hotel Mercure, poi dall’amico Haymeric d’Harcourt nella Svizzera normanna. Nell’atmosfera oceanica della Normandia (ove si pratica il “fenomeno della pesca a piedi”), la depressione viene esasperata nel contatto con le difficoltà degli agricoltori, delle quali lui – ex funzionario del Ministero dell’Agricoltura – si sente in qualche modo responsabile (“Il mio fallimento nella promozione dell’esportazione dei formaggi della Normandia”).
Con la tentazione strisciante del suicidio (“Gli dissi che avevo voglia di imparare a sparare”), Florent si cimenta con le armi (“Pensai ai bersagli mobili, sulla spiaggia ce n’erano tanti, i più evidenti erano gli uccelli di mare”) e il romanzo si tinge di noir quando – tra Putange e Falaise - il protagonista rintraccia Camille (“La nostra storia durò poco più di cinque anni, cinque anni di felicità è già un bel risultato”), l’antico amore della sua vita (“Il mondo esterno era duro, spietato con i deboli, non manteneva quasi mai le promesse, e l’amore restava l’unica cosa in cui si potesse ancora, forse, avere fiducia”): pedina la donna (“Stavo probabilmente cercando… di organizzare un minicerimoniale di addio intorno alla mia libido”), pericolosamente la spia e pensa di riallacciare con lei il rapporto, ma è in preda alla follia e alla consunzione nevrotica (“La prima azione di un mammifero maschio, quando conquista una femmina, consiste nel distruggere ogni prole precedente, al fine di garantire la preminenza del proprio genotipo”).
Al di là dei soliti passaggi brutali, sessisti (“Femminicidio… faceva pensare a insetticida o a ratticida. In ogni caso, diciassette anni mi sembravano tanti”) e maniacali (ma Houellebecq pensa davvero che le gang band e la zoofilia costituiscano elementi di scandalo che possono fare la fortuna di un romanzo? Oramai dovrebbe fare scalpore soltanto un romanzo che se ne privo in modo assoluto…) il vero tema interessante del romanzo è l’applicazione della teoria freudiana all’analisi socio-individuale: l’uomo (dedito al fumo, all’alcol e all’assunzione di psicofarmaci - “Il Captorix mi era d’aiuto, era innegabile, le mie dosi quotidiane di alcol restavano moderate”) e la società contemporanea sarebbero regrediti alla fase orale (“L’Occidente regrediva allo stadio orale”). In tale contesto “i ricordi tornavano senza tregua, a ucciderti non è il futuro bensì il passato”…
“Oggi capisco il punto di vista del Cristo, il suo ripetuto irritarsi di fronte all’insensibilità dei cuori… È proprio necessario, per giunta, che dia la mia vita per quei miserabili? È proprio necessario essere così esplicito? Parrebbe di sì”.
Bruno Elpis
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