Le recensioni di Bruno Elpis
Misfatto in crosta di Gaia Conventi (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Dopo il Pasticcio padano - e con il retropensiero di un’ideale wish list di libri da portarci sotto l’ombrellone – quasi per contrasto climatico (la calura estiva compone un aspro ossimoro con il febbraio milanese descritto nell’opera che ci accingiamo a commentare) c’imbattiamo nel Misfatto in crosta, secondo assist che Gaia Conventi scocca ai lettori nella trilogia estense delle edizioni Le Mezzelane.
Anche il Misfatto in crosta ha per attore principale Luchino Girondi, fotografo della polizia scientifica di Milano (“? raro che io veda belle donne sul lavoro, e se le vedo non sono vive”), in equilibrio malfermo tra misoginia incipiente (“Comincio a pensare che per le donne valga la regola degli elefanti: sono splendidi, ma tenerne uno in casa è troppo impegnativo”) e attrazione conclamata per il sesso opposto, qui degnamente rappresentato dalla vicina di casa Desy (“Quindi mi lasci il cagnolino?”).
Con lui, il solito compagno di avventure: il cane fetente del sottotitolo, Poirot (“Trattasi di pastore belga, un quasi cane poliziotto; ha pure il caratterino antipatico del personaggio inventato da Agatha Christie”), deuteragonista in un rapporto verace che la scrittrice ferrarese – lo sappiamo, dietro al fuoco e alle fiamme del suo apparire, è tenera e convinta amante degli animali – descrive senza sdilinquimenti e senza indulgere a facili retoriche animaliste.
Ed è proprio su un filo da funamboli che si dipana una vicenda destinata a strappare tanti sorrisi e alcune risate: “La signora – e non serve un genio a capirlo – è stata strangolata col filo dell’apparecchio, è ancora attorcigliato attorno al collo bluastro, un cappio da cui non è potuta fuggire.”
Quali equilibri?, chiederete voi.
Sono equilibri di genere, perché il misfatto è, per così dire, «en travesti»: “Il signor Mario Rosseti (ndr: la vittima) è vestito da signora”.
E sono assetti psicologici di stampo edipico-freudiano: “La mia mammina, la mia dolce mamma, aveva posato nuda in un quadro che era finito appeso nel soggiorno di Mario Rosseti”.
Ma sono anche equilibri difficoltosi che il povero Luchino deve mantenere tra i frizzi e i lazzi dei colleghi, sempre pronti a sbeffeggiarlo: “L’ispettore Denovo dice che questa crosta non ha alcuna rilevanza e, in caso ne avesse, la ritroveremo in casa tua, certamente custodita a dovere. Chiusa a chiave in un armadio”.
E se il delitto dell’architetto (“Mario è Cinzia e Cinzia è Mario”) si consuma nell’ambiguità personale (“Si tratta di poupette: manichini per parrucchiera”) e professionale (“L’amore corre sul filo... La ditta di telefonia erotica lavora su tre turni, quattro telefoniste un ognuno. Cinzia faceva da jolly, ma qui pare non la conoscesse nessuno”) della buonanima alternante, occorre attendere le ultime pagine di una commedia noir che strizza l’occhio al burlesque e soffrire divertendosi, insieme a Luchino, per sapere cosa ci fa quel ritratto di mamma tutta nuda (“Già, nemmeno io vorrei essere nei miei panni e ci terrei tanto che mia madre indossasse i suoi, come fanno tutte le mamme. Tranne quelle che si spogliano e posano nude”) lì, sul luogo del delitto…
Bruno Elpis