Le recensioni di Bruno Elpis
Divorare il cielo di Paolo Giordano (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Divorare il cielo: può essere un modo emozionale e introiettivo di affrontare la vita, certamente intenso e attivo, senza possibilità di compromesso, adatto a chi cerca, con tenacia, di realizzare la propria promessa esistenziale.
Paolo Giordano torna con un romanzo complesso, articolato, molto letterario, ambientato nella Puglia delle masserie, degli ulivi, della scarsità idrica, della tentazione capitalistica di rinnegare la purezza del passato rurale, corrompendola con le contaminazioni economiche.
Teresa, la protagonista di Divorare il cielo, trascorre le vacanze giovanili a Speziale (“A Natale ero ancora in preda alla nostalgia di Speziale”), nella villa pugliese della nonna paterna, che confina con la proprietà ove Cesare e Floriana realizzano una comunità adottiva ispirata a principi religiosi che oscillano tra ispirazioni bibliche, metempsicosi ed ecologismo (“Pensavo che per voi testimoni di Geova fosse proibito… Chi ti ha detto che sono un testimone di Geova?”).
L’incontro con il carismatico Bern(ardo), (“Il cuore di Bern è stato toccato dal maligno”), Nicola (“Bern e Tommaso erano dei fratelli per me. Loro erano siamesi forse, ma io ero comunque loro fratello”) e l’albino Tommaso – che condizionerà come un sogno tutto il futuro della ragazza (“Bern non poteva cambiare la sua residenza con nessun altro luogo al mondo, perché la sua anima era incastrata lì, fra quelle piante, fra quei sassi”) - imprime un nuovo corso alle estati di Teresa, che entra in contatto con i riti adolescenziali (“la casetta sul gelso”) e con uno stile di vita affascinante e promettente. Ma è soprattutto l’amore immediato per Bern, nipote in affido a Cesare, lo stimolo che induce Teresa ad abbandonare gli osteggianti genitori (“Come se mio padre, parlandomi del tedesco e delle tombe, volesse allontanarmi da Bern”), Torino e gli studi universitari, per intraprendere nella masseria abbandonata una vita comunarda (“Credo che si possa definirci abusivi”) che – sul finire degli anni novanta – assomiglia a una riedizione evolutiva degli afflati ecologisti e contestatori della cultura hippy (“Mostrai ai ragazzi l’erba di Violalibera”) e post-sessantottina.
Quando la piccola comunità formata con le coppie Danco-Giuliana e Tommaso-Corinne implode e si scioglie (“La fine di un sogno opaco che nessuno di noi, con la sola eccezione di Bern, aveva mai creduto potesse compiersi sul serio e poi durare”), Teresa e Bern decidono d’impeto di sposarsi, anche per affrontare la difficile esperienza della maternità eterologa, che tuttavia avrà un esito fallimentare e fatale per la relazione.
La vita dei due amanti si complica, s’ingarbuglia, naufraga: lo spirito indomito di Bern si esprime in forme di protesta che assumono ora la tattica dei black bloc, ora l’intonazione letteraria del Barone rampante (ndr: per connessione di argomento, chi si ricorda di questo caso di cronaca?). La protesta culmina in uno scontro con la polizia e Nicola (“Un agente di polizia. Si chiamava Nicola Belpanno”) rimane vittima di un omicidio che riecheggia il fratricidio biblico di Caino.
Il finale (Parte terza – Lofthellir), ambientato nella spettacolare natura artico-lunare dell’Islanda (“L’Antropocene? L’era geologica in cui viviamo, in cui ogni cosa del pianeta, ogni luogo, ogni ecosistema è stato alterato dalla presenza dell’uomo… Cominciò a emergere in lui il desiderio di trovare almeno un’eccezione. Qualcosa che non fosse ancora stato visto, rovinato. Qualcosa di puro”), è tanto surreale quanto improbabile (“Bern dentro una grotta: era possibile. In tutti quegli anni… era vissuto in una torre diroccata, in una casa senza corrente elettrica, sopra un albero”), ma consente a Paolo Giordano di formulare la propria ipotesi di una sorprendente coincidentia oppositorum esistenziale: non arriviamo mai a conoscere veramente gli altri, eppure l’intuizione amorosa ci consente di penetrare in profondità l’altro…
Bruno Elpis