Le recensioni di Bruno Elpis
Martha Peake di Patrick MacGrath (i-libri)
- Dettagli
- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
Martha Peakeè per Patrick MacGrath l’occasione di sperimentare la formula ibrida del romanzo gotico e storico.
L’eroina della storia (“Quella voce rauca… Ma che cuore! Che spirito!... Un’anima di roccia, qualcosa di adamantino che certo l’avrebbe aiutata ad affrontare tutte le prove che l’attendevano!”) è figlia di Harry, poeta sfortunato che – nel tentativo di salvare la moglie da un incendio da lui stesso causato – rimedia una deformità (“Sebbene lo rendesse gobbo e sciancato, tale deformità non lo faceva sembrare più basso bensì assai più alto, trasformandolo in un essere mostruoso”) che lo caratterizza tra mille.
A partire dal ritratto di Harry che campeggia sul caminetto, la storia di padre e figlia viene raccontata dal vecchio zio William Tree alla voce narrante, il nipote Ambrose, che si reca a Drogo Hall dallo zio per ereditare la proprietà che era appartenuta a un illustre, ambiguo anatomista (“Nell’estate del 1774 mio zio assisteva Lord Drogo nella sua attività di anatomista, e siccome lo faceva già da diversi anni doveva di certo essere al corrente dei mezzi con cui sua signoria si procurava i corpi di cui aveva bisogno. Essi erano forniti da un omettino viscido di nome Clyte. Clyte era un disseppellitore, in altre parole commerciava in caratteri da poco inumati…”) assistito da un personaggio losco (“Clyte, bisbigliante principio di negatività, il disseppellitore… Magro come un chiodo, con quella sua faccia lunga e le guance scavate, gli abiti neri scoloriti e nessuna parrucca a coprire il cranio livido, Clyte… era una creatura che strisciava, che sgattaiolava…”). La sinistra magione si staglia sulla palude Lambeth, è abitata dai fantasmi (“Di notte una creatura si aggirava per drogo Hall, viva o morta che fosse”) e provoca l’interesse di Ambrose (“Io credo che mirasse a possedere la colonna vertebrale di Harry”), che sospinto dalla curiosità e dalla pietà umana (“Avrei recuperato le sue ossa spolpate dando loro sepoltura cristiana”) è risoluto a penetrare i misteri custoditi dallo zio e dal suo fedele servitore Percy (“Frattanto il silenzioso Percy svolazzava dentro e fuori la luce delle candele come una falena, riempiendo a più riprese il calice di cristallo di mio zio con quell’imbevibile vino dolce”).
Ed ecco in breve la storia del “Mostro di Crippelgate”.
In un primo tempo Harry trova un proprio equilibrio nel trasformare la sua deformità in spettacolo (“Con in testa il cappello – un ampio tricorno nero abbassato sugli occhi e coronato da lucide penne nere, il mantello di velluto nero sbiadito… e una scaltra imbottitura sulla schiena per sottolineare la deformità”), ma quando il rimorso torna a scatenarsi, il poeta si rifugia nell’alcol, lambisce la follia e compie un atto innominabile. Combattuta tra l’orrore e l’amore per il padre, Martha si rifugia prima a Drogo Hall, poi raggiunge una zia che vive a New Morrock, nei paraggi di Boston, alla vigilia della rivoluzione americana (“La rivoluzione… aveva bisogno di un martire”).
Il finale a Drogo Hall, ricco di suspense (“Quali mostruosità mi attendevano nelle viscere della casa?”) e di sorprese, emenda i peccati del passato e ricompone le relazioni tra i vari personaggi, narranti e narrati (“I castelli elaborati dalla mia mente cominciarono a crollare”).
Il risultato del tentativo di coniugare horror e storia produce un romanzo forse un po’ insolito nella produzione di McGrath: a tratti involuto, talvolta prolisso, un miscuglio forse poco amalgamato ove l’unità narrativa un po’ si perde.
Bruno Elpis