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Le recensioni di Bruno Elpis

Casa di mare di Marco Buticchi (i-libri)

coverCon un impegno sicuramente doloroso, Marco Buticchi affronta in “Casa di mare” le proprie radici liguri (“Le case parlano”) e il passato personale e familiare, riproducendo dall’angolatura emotivamente scomoda del figlio l’avventurosa, tumultuosa biografia del padre: quell’Albino Buticchi, self made man che conobbe la parabola del successo sia come imprenditore, sia come dirigente sportivo. 

A ritroso dal fallito tentativo di suicidio (“Aveva cercato la morte, ma lei non si era fatta trovare”) che gli causò la cecità, la storia di Albino si snoda dalle avventurose esperienze della gioventù ai difficili momenti della guerra (“È un rastrellamento! Corri ragazzo!”), che lo costrinsero a riparare in Svizzera per poi raggiungere il fratello partigiano (“Una volta rientrato in Italia, Albino si dedicò alla ricerca di Fulvio. Le ultime notizie … lo davano partigiano nella Repubblica della Val d’Ossola”). 

Dopo alcune rocambolesche esperienze di gioventù (“Perché si vuole arruolare nella Legione?”), la propensione al rischio (“Osare sempre, sino al punto di rottura della corda, era una sua prerogativa”), forse la medesima che fu così vistosa nei pericoli della ludopatia (“Nessuno, al di fuori di una casa da gioco, può avere la cognizione esatta di quali cifre possano essere lasciate su un tavolo verde”), portò Albino ad affermarsi come imprenditore e – nel mondo dello sport – ad affrontare prima le corse in auto, poi l’avventura della presidenza del Milan (“Una volta rastrellato il pacchetto azionario di maggioranza dell’A.C. Milan… si insediò alla presidenza della squadra”). Intanto, con l’affermazione economica si compie anche la penetrazione nel luccicante mondo del jet set (“Un panfilo a vela che avrebbe fatto epoca. Si trattava di un ketch in legno di ventidue metri”). 

Ma è soprattutto sulle cause dell’autodistruzione che il figlio Marco s’interroga (“Ma l’incapacità di fermarsi dinnanzi al richiamo del gioco lo atterriva”): le ricerca nell’ambiente familiare (“Sin dalle prime partitelle col fratello Giovanni, aveva capito che il gioco e il rischio riuscivano a inebriarlo come poche altre cose”), si chiede se alcuni fatti dell’infanzia (la sorella Egle “chiuse gli occhi e si lasciò cadere nel vuoto”) possano aver contribuito a radicare questa tendenza, ne indaga le valenze psicologiche ed esistenziali, non si rassegna di fronte a conseguenze macroscopiche non soltanto sul piano finanziario (“Non ho più fiches, ma se accetti mi gioco questo yacht. Vale 150 milioni di lire”). 

In un romanzo impegnativo e difficile per un figlio, Marco Buticchi restituisce alla figura del padre, con affetto e rimpianto, ma anche con razionalità e disincanto, una dimensione che spesso la cronaca scandalistica ha distorto e mal interpretato (“Rivera si rivolse a un legale di fiducia e dichiarò che il Milan doveva scegliere: o lui o Buticchi”), regalando ai suoi lettori una storia che attraversa la guerra, gli anni del boom economico e l’epoca attuale: quella della società patinata ed effimera, abbagliata dal mito decadente e illusorio del successo… 

Bruno Elpis 

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