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Le recensioni di Bruno Elpis

Il prato in fondo al mare di Stanislao Nievo (i-libri)

Icoverl prato in fondo al mare, Premio Campiello 1975, è l’omaggio vitale e letterario che Stanislao Nievo attribuisce – in qualità non soltanto di nipote - a  Ippolito Nievo. L’autore delle “Confessioni di un italiano” perì in circostanze misteriose (“L’uomo che li comandava era colonnello. Aveva la stessa età della nave su cui era imbarcato, 29 anni”) sul vascello a ruote denominato Ercole (“Benché ristrutturata più volte era una vecchia carretta”), forse inabissatosi tra Capri e Punta Campanella durante il viaggio che doveva riportare dalla Sicilia a Genova alcuni garibaldini (“Gli imbarcati sull’Ercole erano gli ultimi garibaldini che lasciavano la Sicilia”) e i documenti amministrativi inerenti la spedizione dei Mille (“L’amministrazione dei Mille… era ora sotto inchiesta”). 

Quali furono le cause del naufragio (“Del vascello scomparso non fu trovato alcun segno”)?
Le teorie furono molteplici, poche le indagini svolte per appurare la verità (“Il 17 marzo 1861, 11 giorni dopo la scomparsa dell’Ercole, nasceva il regno d’Italia… L’attenzione del paese e delle sue sfere direttive era tutta presa da questo complicato parto nazionale. Nasceva l’Italia e i problemi più piccoli passavano in second’ordine”).

Si susseguirono sette ipotesi differenti, sette come le fatiche del mitico eroe omonimo della nave: “La ricerca aveva gettato tutte le esche… L’Ercole era una preda sfuggente. Quando i brandelli delle altre indagini si rivelavano inconsistenti, la ricerca continuava attraverso l’inconscio… Si era inserito un parallelo irritante, quasi infantile se non fantastico per un ricercatore, un mito ellenico, le fatiche d’Ercole.
Poi, accanto alle tesi più lineari (“Cos’è un colpo di mare? Una grande ondata, inaspettata di contromare, che arriva come un maglio smisurato contro il bordo della nave”) si affaccia una nuova possibilità: “Un’isola. Un’isola che sorge dal fondo, sbatte via tutto quel che trova, divora una nave e poi sprofonda nuovamente trascinando via i resti. Roba da Jules Vernes…” 

Stanislao Nievo immagina le ultime ore trascorse dal vascello in pericolo (“Poi, dopo le due della notte, venne la tempesta”): è la parte forse più potente e immaginifica del romanzo (“Poche ore, ma un inferno. Il vento scendeva da nord. Da tramontana girò a maestrale e tutto si oscurò nel giorno nascente”). 

Il nipote decide di condurre un’indagine personale (“8 giugno 1961: 100 anni, 3 mesi e 3 giorni dopo la scomparsa le poste italiane emettono un francobollo commemorativo, ricordo di Nievo, col viso azzurro diffuso di mare”) per ricostruire lo sfortunato epilogo.
E dispiega forze ed energie sia nella ricerca testimoniale (“Un uomo si era salvato. Un naufrago vivo. Uno solo. Ma c’era… Si sapeva soltanto che era stato portato a Napoli. E poi era sparito”) e documentale, sia nelle esplorazioni del fondale (“Jaques Piccard… scese sul fondo”), sia mediante il ricorso a indagini “alternative”, rivolgendosi a Gerard Croiset (“Da bambino aveva rischiato di affogare e l’incidente aveva accentuato il suo particolare potere investigativo a distanza”), a radiestesisti, paragnosti e sensitivi… 

Nella parte finale del romanzo troviamo la descrizione accurata delle (tre) immersioni sperimentali, delle quali Stanislao approfittò per perlustrare il fondale del Tirreno. La seconda esplorazione (accostata al mito delle cavalle di Diomede) vive momenti drammatici perché la pinza del batiscafo rimane impigliata e ciò impedisce la risalita. Durante la terza discesa, lo scrittore è vicino alla soluzione: l’asportazione della ruota e della cassa del relitto potrebbe costituire una prova, che però si sfalda e si disintegra (“La nave non esisteva più. Il suo fantasma si sfaceva appena si giungeva a toccarlo”). Allora la solitudine di Nievo affiora in tutta la sua potenza artistica nella strana ricorrenza di coincidenze e assonanze classiche (“L’ultima fatica d’Ercole… era stata la lotta al di là del mare per catturare un cinto a uno strano nemico. La regina di un regno lontano. Una regina di nome Ippolita”)… 

Bruno Elpis 

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