Le recensioni di Bruno Elpis
Colazione da Tiffany di Truman Capote (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Holly è irrequieta, alla ricerca del suo posto nel mondo. La targa dell’appartamento di New York che la ospita, recita: “Signorina Holiday Golightly, in transito.”
Come non ripensare, leggendo “Colazione da Tiffany” a Audrey Hepburn, l’attrice che interpretò il ruolo in un film epurato da ogni carica trasgressiva che invece il romanzo contiene?
“Aveva le guance di un rosa acceso, la bocca grande, il naso all’insù. Un paio di occhiali neri le cancellava gli occhi.”
“Portava sempre gli occhiali neri, era sempre in perfetto ordine, c’era un innato buon gusto bella semplicità dei suoi abiti, nei grigi, negli azzurri…”
“Erano occhi molto grandi, un po’ azzurri, un po’ verdi, con piccoli punti bruni; variegati come i suoi capelli…”
Truman Capote avrebbe voluto che il ruolo di protagonista nel film fosse affidato a Marilyn Monroe. Forse la riteneva più adatta a interpretare le intemperanze di una donna che il coprotagonista, dopo un litigio, definisce “una volgare esibizionista, una perdigiorno, un’assoluta montatura”? E che per la benpensante vicina, Madame Spanella, è “moralmente riprovevole e un’animatrice di riunioni notturne che mettono in pericolo la sicurezza e l’equilibrio nervoso dei suoi vicini”.
Certo è che Holly, dietro a volubilità e fragilità, nasconde tante complessità e contraddizioni.
Ha frequentazioni equivoche, visita in prigione il gangster Sally Tomato e riferisce al suo avvocato se “c’è un uragano a Cuba” o se “nevica a Palermo”. Nel suo appartamento intrattiene uomini che “salvo la mancanza di giovinezza, … non avevano nulla in comune, sembravano estranei tra estranei”.
Ha frequenti sbalzi d’umore che vorrebbe affogare nella leggerezza e nella superficialità: “Ma non è per questo che vado pazza per Tiffany. Sapete quei giorni, quando vi prendono le paturnie?”
“Mi sono accorta che per sentirmi meglio mi basta prendere un taxi e farmi portare da Tiffany”
Ha rapporti sociali del tutto labili: con la modella Mag Wildwood, con un primo fidanzato ricchissimo Rusty Trawler, con il politico brasiliano José, del quale rimane incinta.
Per contro il vicino di casa, scrittore in cerca di successo, allaccia con lei un rapporto suscitato da una strana abitudine: “…nei giorni seguenti cominciò a suonare il mio (campanello), qualche volta alle due del mattino, alle tre e alle quattro”. Un rapporto sbilanciato e al tempo stesso equilibrato tra due polarità differenti: “Ma, se la signorina Golightly continuava a ignorare la mia esistenza, con l’unica eccezione dell’uso del campanello, io, nel corso dell’estate diventai qualcosa di simile a un’autorità sulla sua.”
Una relazione familiare nella quale Holly in qualche modo si riconosce, quando affibbia al vicino il nome del fratello Fred. E lo definisce “pieno di desideri, non stupido. Ha una voglia tremenda di essere al di dentro delle cose e di guardare fuori; e chiunque sta col naso schiacciato contro un vetro rischia di passare per stupido.”
Insieme i due rubano (“Non ci togliemmo la maschera per tutta la strada fino a casa”), cavalcano, soffrono, si spalleggiano nella ricerca di una collocazione nel mondo. E maturano una convinzione: “Non può continuare così per sempre. A non sapere cos’è tuo finché non lo butti via”. Nel desiderio fondamentale di arrivare – come il gatto rosso di Holly – “in un posto che era il suo posto”.
Il romanzo è tutto da gustare: nelle oscillazioni che lo caratterizzano e nelle vibrazioni che trasmette, così diverso dal film che è stato forse ritagliato sulla bellezza eterea e sulla personalità affascinante di un’attrice indimenticabile. Figura tanto centrale da suscitare nella produzione cinematografica una revisione, favorita dal puritanesimo americano, dell’intera storia.
Libro da leggere sulle note della colonna sonora di Heny Mancini, film da vedere ripensando agli elementi eterodossi presenti nel romanzo. Un confronto inevitabile nel quale scegliere cosa preferire – il film, il libro? – ovvero apprezzare l’uno e l’altro…
Bruno Elpis