Le recensioni di Bruno Elpis
Mi sa che fuori è primavera di Concita De Gregorio (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Concita De Gregorio propone in “Mi sa che fuori è primavera” una delle peggiori pagine della recente cronaca nera: il caso di Livia e Alessia, figliolette di Irina Lucidi e Mathias, rapite dal padre – morto suicida – e mai più ritrovate.
Il caso viene presentato cercando di rintracciare nell’ambiente familiare le cause della follia di un uomo dal profilo apparentemente “normale”, ma minato da un eccesso di rigidità personale (“Personalità psicorigida”) e familiare (“Le loro relazioni erano scandite da fatti, non da emozioni”).
I paragrafi in cui Irina scolpisce la propria disperazione nelle lettere che scrive ai familiari, al giudice italiano, alla maestra delle bambine si alternano all’indagine psico-sociale, nella quale si cercano disperatamente risposte che forse non esistono.
Particolarmente drammatica è la trattazione del tema dell’assenza di certezza sul destino delle figlie (“Il lutto in assenza del corpo è un’emorragia misteriosa e inarrestabile”), così come sofferta risulta essere la scelta di ricostruire una nuova vita (“Il dolore da solo non uccide”) sulle macerie della precedente (“Non sento nessuna necessità di avere nuovi figli. I pinguini… quando qualcosa succede al loro uovo ne rubano un altro e covano quello”). Scelta fortemente voluta e coronata dall’impegno sociale nell’iniziativa di “Missing Children Switzerland”.
Ho trovato molto interessante il capitolo nel quale il dramma viene filtrato persino attraverso la ricerca etimologica a partire dal binomio cuore e mente, nella radice dei verbi “ri-cor-dare” e “di-men-ticare”, constatando che in molte lingue esistono parole (come vedovo, uxoricida, orfano, parricida, infanticida) atte a designare condizioni legate alla morte di un familiare, mentre vi è “La parola mancante. Genitore che perde un figlio”. Esiste in ebraico (Av shakul e Em shakula), in arabo (Thaakil e Thakla), in sanscrito (vilomah). E “In greco antico: orphanos, indistinto, indica i due lutti. Di chi ha perso il padre, di chi ha perso il figlio.” Così come esiste la “Technoleteira. Sofocle, Elettra, 108. Antigone parla dell’usignolo che ha perso il figlio… Radice: da teknon, bambino, e ollumni, perdere ma anche uccidere”.
Scritta in forma mista e verosimilmente a quattro mani con la protagonista di questa tragedia contemporanea, l’opera è un diario-espistolario-saggio che spinge il lettore a interrogarsi sul concetto di normalità, sull’importanza dell’autenticità delle relazioni familiari, sul ruolo del dialogo (“Come sia stato possibile… non riconoscere il pericolo nell’uomo che ti viveva accanto”) e dell’amore (“Non poteva esserci amore dentro quella sua smania di mostrarmi senza vedermi”).
Bruno Elpis