Le recensioni di Bruno Elpis
Memorie di una geisha di Arthur Golden (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Un po’ testimonianza di un’epoca, un po’ fiaba, le “Memorie di una geisha” di Arthur Golden catturano la curiosità e introducono il lettore occidentale nelle pieghe di una cultura tanto lontana (“Sui maschi giapponesi il collo e la gola esercitano di regola lo stesso fascino che hanno le gambe femminili agli occhi dei maschi occidentali”), quanto affascinante (“Nello scintoismo la morte è l’evento più impuro che si possa verificare”).
In questo commento ci soffermiamo sulla prima parte del romanzo: forse la più coinvolgente, perché indugia sui meccanismi e sulle fasi iniziali (“I «bozzoli», come venivano spesso chiamate le ragazze per diventare geishe”) che stanno alla base di una professione quasi sempre imposta e forse brutalmente calata nella vita di una bambina sottoposta a quelle che a noi sembrano coercizioni (“Avevo fatto attenzione a non commettere nulla che potesse costarmi una punizione corporale”) e pratiche innaturali (“Quello che io chiamo il mio «sorriso n?» perché ricorda una maschera del teatro n? dai lineamenti raggelati”).
Chiyo abita a Yoroido, paese di pescatori, in “una catapecchia che avevo ribattezzato «la casa ubriaca»” perché ha “l’aspetto di un vecchio sbronzo appoggiato a una stampella”: l’infanzia è vissuta nella povertà, con una madre malata, un padre pescatore e Satsu, la sorella più grande.
Quando il futuro si fa più incerto, le due sorelle vengono indirizzate da un facoltoso signore del luogo (“Il signor Tanaka… la Compagnia ittica apparteneva alla sua famiglia”) a Kyoto (“A quei tempi, stavamo per iniziare gli anni ’30, a Kyoto c’erano ancora molti risciò”), città sorprendente (“Prima di allora non avevo mai visto un’automobile”), che costituisce novità (“Tutti i miei sensi subivano una specie di aggressione”) e premessa di un destino segnato (“Nulla, nella mia nascita e nel modo in cui sono stata allevata poteva lasciar presagire che sarei diventata una geisha di Kyoto”). Fin dal loro arrivo, le due sorelline vengono separate (“Tu vai da un’altra parte”): Chiyo – la ragazzina dai bellissimi occhi grigi – viene trattenuta in un okiya di Gioni, la zona di Kyoto ove vivono le geishe; Satsu viene spedita a Miyagawa-cho, il quartiere malfamato (“Questo è un luogo orribile. Cerca di non finire in un posto del genere, Chiyo!”) ove si pratica la prostituzione (“Il loro obi era legato sul davanti invece che sulla schiena… è il segno che contraddistingue le prostitute: una donna costretta a togliersi quella fascia più e più volte nel corso della notte non può perdere tempo a legarsela di dietro”).
La piccola Chiyo subisce i capricci della bizzosa geisha Hatsumomo (“Era crudele come un ragno”) e le intemperanze delle proprietarie della casa (“Ciò di cui abbiamo bisogno è una persona intelligente, non carina. Quella Hatsumomo è straordinariamente bella, ma pensa quanto è folle”): la Madre, accanita fumatrice di pipa e trafficante senza scrupoli, l’orrenda Nonna e la più umana Zietta. Qui la piccola per la prima volta assiste a preparativi (“Appoggiò il barattolo prese tre bastoncini di pigmento…”), manovre (“Se vi dicessi che questa crema veniva fatta con gli escrementi degli usignoli…”) e trucchi che trasformano una donna in geisha (“Alla fine… tutto il suo volto era bianco come quello di un fantasma”).
“La successiva vestizione mi lasciò al momento sconcertata, perché chi non ha pratica di kimono non riesce a seguire le varie fasi di quell’elaborato rituale.”
Qui, con la coetanea Zucca, la ragazzina comincia ad “andare a scuola in un altro quartiere di Gion, a prendere lezioni di musica, danza e cerimonia del tè”, ma le angherie che subisce sono tante e tali da indurla a fuggire per ricongiungersi alla sorella (“Torneremo tutt’e due a casa”). La fuga fallisce (“Piovono bambine!”) e le ire delle proprietarie dell’okiya si abbattono su di lei (“Ti ho pagata settantacinque yen… ma da quando sei arrivata hai rovinato un kimono, rubato una spilla e ora ti sei rotta un braccio… Inoltre ci sono i pasti e le lezioni… tua sorella è fuggita… Mi devi tanti soldi che non potrai mai ripagarmi”).
Il destino di geisha sembra compromesso (“Hai idea di quanto costi?... Più di te, questo è sicuro”): al culmine della tristezza, Chiyo s’imbatte in un uomo, il Presidente (“Se fossi stata una geisha… un uomo quale il Presidente avrebbe potuto passare un po’ di tempo con me”), colui che reciterà un ruolo determinante nella storia della ragazza.
L’incontro ha un ruolo simbolico: da quel momento la vita di Chiyo cambia, grazie alla protezione dell’importante geisha Mameha (“Aveva versato il saké al grande scrittore tedesco Thomas Mann, a Charlie Chaplin, a Sun Yat-sen, e qualche anno più tardi a Ernest Hemingway…”), che intravede le sue potenzialità (“Vedo che nella tua personalità c’è molta acqua”), l’adotta come “Sorella maggiore… quando una ragazza è finalmente pronta a fare il proprio debutto come apprendista geisha, ha bisogno di avere alle spalle una collega più esperta”, e la guida nella sua riscossa contro l’invidia e le cattiverie di Hatsumomo.
La vita dell’apprendista geisha non è facile: tra studi (“Studiare lo shamisen con Maestra Topo”), sofferenze (“Più che un cuscino, è una forcella per sostenere la base del collo”) e afflizioni (“Mi faceva indossare l’abito da cerimonia… perché mi abituassi al peso”) ai limiti della tortura (“L’obi… vi stringe alla vita come se vi trovaste nelle spire di un gigantesco boa”), la giovane donna viene iniziata alla vita fatta di pose (“A causa della cera e del fondotinta… la sensazione che il mio viso fosse diventato insensibile”), cerimoniali, macchinazioni e complessi rapporti con uomini potenti.
“Una vera geisha non infangherebbe mai la propria reputazione accettando un rapporto casuale con un uomo. Non voglio dire con questo che una geisha non si conceda mai per una sola notte a un uomo che trova attraente… Ma se il tipo giusto di uomo è interessato… ad allacciare una relazione più duratura…”
Tutto è pronto per l’iniziazione sessuale della minorenne, al quale l’occidentale assiste con tristezza e sgomento, mentre il senso del sacrificio tutto giapponese e il gusto per la simbologia orientale attribuiscono un significato per certi versi incomprensibile all’atto che rappresenta il passaggio alla vita adulta.
Bruno Elpis