Le recensioni di Bruno Elpis
Cade la terra di Carmen Pellegrino (i-libri)
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- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
Dal Campiello 2015
“Cade la terra” di Carmen Pellegrino è un romanzo articolato in tre parti, ciascuna delle quali viene introdotta dalle intense rime di illustri poeti.
Parte prima – La casa dell’olmo
Estella (“Gli occhi fissi come quelli di una civetta erano azzurri, un vero spreco di colore turchino, accentuato dai capelli che le sbattevano biondi sulle spalle”) ritorna ad Alento (“Il paese, che aveva sempre camminato, ora sembrava aver camminato di più nella sua coperta di fango, con gli abitanti che si erano ritirati più a nord, sopra una porzione di terra meno tremolante”) dopo un’esperienza fallimentare di monaca (“Una disturbata che era entrata giovanissima in monastero e che se ne era scappata di notte, dopo appena due anni, con l’abito di monaca addosso. Vennero da Napoli a riprenderselo e lei se lo tolse davanti alla chiesa”). Trova ricovero come istitutrice nella villa del notaio de Paolis, ove le viene affidato il figlio Marcello, un ragazzo problematico e nosofobico.
Grazie alla filantropia dei de Paolis, la villa è il fulcro della vita (“In questa casa sono passati molti degli alentesi”) di un paesino agonizzante e instabile prevalentemente abitato da “bifolchi” (“Pastori, giumentieri, vaccari…”), nel quale perfino il culto (“La statua della Madonna della Frana”) sembra alludere al precario destino di morte che aleggia sul borgo fatiscente.
Nonostante le disposizioni cittadine (“L’ordine di lasciare il borgo è stato perentorio, si corre un rischio grave a restare”), Estella decide di continuare ad abitare nella casa pericolante (“Questa casa cominciò a diruparmi addosso – un frullio di calcinacci dietro l’altro…”), anche quando tutti gli abitanti si trasferiscono per scampare alla distruzione (“Ogni povera cosa a un certo punto ha cominciato a parlarmi, a fare clamore dentro il gioco della memoria…”).
Parte seconda – L’attesa
Relegata nella sua pertinace solitudine (“Questo piccolo mondo autistico dove rinasco e muoio ogni volta”), Estella dà spazio alle storie di personaggi la cui memoria riecheggia nell’atmosfera spettrale del paese fantasma: l’anarchico Cola Forti, sua figlia Libera costretta in sposa al Guercio, l’infelice Lucia Parisi, rea di aver rotto una lampadina, Consiglio e Custoda Parisi con la figlioletta Mariuccia, Giacinto il guardio in attesa di un berretto che consacri il suo ruolo, il commerciante Maccabeo (“Gli industrianti… che conducevano i loro affari investendo e costruendo, malgrado la terra sotto i loro piedi digradasse come un fianco di monte”) che ha i figli Antonio e Luchino al fronte.
E sono storie di povera gente, di donne che vivono il sesso come costrizione, storie di superstizione (“Era una civetta”), tradizioni (“Ricordatevi che entrate nella purificazione”) e pratiche primitive (“Dopo la nascita di Michelino mi hanno fatto lo strappamento”), di malasanità (“Cadete tutti a pezzi in questo paese. Ho fatto un’iniezione per un’altra alla bambina”).
Parte terza – La cena
Anticipato sinistramente nel prologo (“Per l’occasione ho indossato il mio vestito della festa, un abito di velluto alla moda… va bene, va bene, la moda di cento anni fa”), l’epilogo celebra la cena metafisica (“La verità è che li tieni prigionieri perché ti senti sola e ne muori”) alla quale partecipano lo scetticismo di un vivo (Marcello), i fantasmi dei personaggi evocati nella seconda parte e, in posizione medianica (“Li guardo… i miei ospiti, tanto ben disposti nella morte, mentre calmi e gravi parlano e levano le coppe”), Estella, così sospesa tra passato e presente, così sprovvista di un futuro.
La prima parte viene introdotta dai versi di “Amore per la vita” di Alfonso Gatto, la seconda è abbinata a “Forse un mattino andando in un’aria di vetro”di Montale, la terza non può che accompagnarsi ad alcune rime de “Il giorno dei morti” di Pascoli.
“Cade la terra” è il riuscito esperimento di interpretare una storia personale anche attraverso poesie bellissime.“Cade la terra” è il refrain di un gioco elementare e un girotondo (nel romanzo sono citati il gioco della staccia e “Regina reginella… quanti passi mi vuoi dare per arrivare al tuo castello?”) danza Carmen Pellegrino, che rappresenta il problema fondamentale dell’esistenza – l’inesistenza della realtà, così ben visualizzato da Montale – senza rinunciare al sogno disperato di comunicare con persone e cose, contrapponendo la letteratura alla triste realtà italiana della deriva idrogeologica e dello spopolamento progressivo di nuclei atavici nei quali affondano le nostre radici soffocate dal meccanicismo anonimo (“Chiedete ragione di singole esistenze che però erano parte di un luogo e di una comunità”) e impersonale della storia (“Subito mi chiedo quale sia la storia che raccontiamo. Una storia di esclusione, senza dubbio, ma anche di vite dissipate, trascorse senza gridi, senza gesti”).
Bruno Elpis