Le recensioni di Bruno Elpis
“Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
In fondo “Dieci piccoli indiani” è la storia di un omicida seriale, al quale Agatha Christie si accosta con raffinatezza stilistica, eleganza anglosassone e classicità calibrata.
Nella storia si ravvisano i tradizionali ingredienti del giallo, ossia il disegno criminale che lega gli omicidi e la firma dell’assassino.
Il disegno criminale (che poi corrisponde al movente) è rappresentato dal desiderio che l’assassino cova: sopprimere chi si sia macchiato di un delitto impunito. Il vendicatore è naturalmente uno spirito sadico e folle, ma mantiene razionalità e inventiva nel progettare ed eseguire i misfatti.
I delitti vengono firmati, tutti, in modo personale: attraverso la storiella dei dieci negretti. Al ritmo inesorabile di un conto alla rovescia dei convenuti e delle statuine in porcellana: ten, nine, eight …
L’etereo puritanesimo di Agatha Christie non si lascia contaminare dai crimini che descrive; la regina del giallo snocciola omicidi come le grane del rosario, scandendone il ritmo con macabro humour e con l’ausilio dell’immancabile maggiordomo: l’imperturbabile Roger, che per l’occasione veste anche i panni del … becchino.
L’ambiente è sufficientemente claustrofobico: una villa-obitorio, illuminata dalla luce delle candele, abbarbicata su Nigger Island, l’isola che ha reciso ogni contatto con la civiltà e sulla quale approdano i dieci “personaggi in cerca” di giustiziere.
Roger, dopo aver scoperto che la moglie è stata avvelenata, prosegue flemmatico nella recita del proprio ruolo, servendo colazioni, sino… sino alla sua morte per mano del misterioso regista.
E i cadaveri, che da uno divengono due, tre… vengono accuratamente collocati ciascuno nella propria camera. Ma ve la immaginate la villa-obitorio, illuminata dalle candele e isolata dal resto del mondo?
Di Nigger Island, sulla quale approdano i dieci “personaggi in cerca” di giustiziere, sono state scritte molte cose: secondo alcuni rappresenterebbe addirittura l’inconscio, l’es di Freud. A me piace immaginarla in senso romantico, per quello che è nel romanzo: un atomo di roccia, un frammento di Devon con il suo profilo che ricorda la testa di un “negro”, in balia dei venti e delle mareggiate, completamente abbandonata a se stessa. Anche perché, romanticamente, dall’isola parte un messaggio in bottiglia: quello che riporta la confessione dell’assassino!
Bruno Elpis