Le recensioni di Bruno Elpis
La morte felice di Albert Camus (i-libri)
- Dettagli
- Categoria: Recensioni
- Scritto da Bruno Elpis
“La morte felice” è la prima opera di Albert Camus, pubblicata postuma, e contiene in potenza – anche sul piano stilistico - le premesse delle opere della maturità.
Patrice Mersault è un protagonista che condensa contraddizioni e impulsi dell’essere umano che galleggia nell’esistenzialismo (“Io sono tutte queste cose contemporaneamente”), tra sentimenti misti nei confronti delle donne (“Ma cosa è questo in confronto alla magnifica inutilità di un viso di donna?”), anelito alla felicità (“Quello che conta veramente è la volontà della felicità, una specie di enorme coscienza sempre presente. Il resto, donne, opere d’arte o successo mondano, sono soltanto pretesti. Un canovaccio che aspetta il nostro richiamo”), intesa come esigenza di libertà (“L’assillo della libertà e dell’indipendenza si concepisce soltanto in un essere che vive ancora di speranze”), autocoscienza e conoscenza. “Tutta la sua violenza era con lui, e il suo amore la traduceva in furiosa passione di vivere”.
Patrice lavora in un ufficio portuale e, sensibile al fascino femminile, consuma per Marthe (“In quella donna non vide il suo avvenire, ma tutta la forza del suo desiderio si concentrò in lei e si colmò di questa parvenza”) una passione fatta di estetica (“Le era grato che ostentasse in pubblico al suo fianco quella bellezza che gli prodigava tutti i giorni come un’ebbrezza sottile”), erotismo (“Nelle reni la bestia calda del desiderio che si muoveva con selvaggia dolcezza”), vanità (“Ho voglia di comportarmi male”) e carnalità (“Quel che lo colpiva nell’amore, la prima volta almeno, era la spaventosa intimità che la donna accettava e il fatto che ricevesse nel suo ventre il ventre di uno sconosciuto”).
Marthe introduce Patrice a Zagreus (“E questo Zagreus chi è?”), un uomo colto (“Legge sempre… E poi dice come te. Mi dice: Vieni qua, parvenza”), menomato nel fisico; con lui Patrice ingaggia un confronto stimolante sul piano intellettuale, che si materializza in dialoghi per lo più sorprendenti (“Ho voglia di sposarmi, di suicidarmi, o di abbonarmi all’Illustration. Un gesto disperato, ecco”). Durante queste conversazioni emerge un concetto cardine: “E quasi sempre ci logoriamo la vita a guadagnare denaro, mentre bisognerebbe, col denaro, guadagnarsi il tempo”. Perché la ricchezza è strumento per acquistare tempo, da dedicare alla scoperta e alla fantasia, per praticare le vie della felicità.
La soluzione viene suggerita dallo stesso Zagreus (“Eppure non farò mai un gesto per abbreviare una vita in cui credo tanto”): una forma violenta di eutanasia, premessa di ricchezza e promessa di vita felice.
Dopo l’omicidio, Patrice intraprende un viaggio che lo condurrà nel centro Europa, passando per Praga (“Il mistero del genio barocco… riempiva Praga dei suoi ori e della sua magnificenza”), la Boemia (“La dolcezza di quel paesaggio di Boemia in cui lontane ciminiere di fabbrica e l’attesa della pioggia tra i grandi pioppi di seta mettevano come un desiderio di lacrime”) e Vienna (“Scenografia frivola e luminosa che astrae l’uomo da se stesso nella città meno naturale del mondo”), riparando a Genova (“Una Genova assordante, che scoppiava di salute davanti al suo golfo e al suo cielo in cui fino a sera lottavano il desiderio e la pigrizia”), ove matura il desiderio (“Andò sulla strada che domina Genova e lasciò salire verso di lui, in una lunga levitazione, tutto il mare carico di profumi e di luci”) di approdare nuovamente ad Algeri.
Lì Patrice prima convive con tre amiche (“Nel quartiere la chiamavano la casa delle studentesse… Rose, Claire, Catherine e il ragazzo la chiamavano la Casa davanti al Mondo…”), sposa una donna che non ama e si stabilisce in una casa sul mare, ove tra solitudine e contatto con la natura, l’inquieto eroe ha modo di sperimentare una felicità complessa (“Perché lui aveva fatto la sua parte, aveva compiuto l’unico dovere dell’uomo che è soltanto quello di essere felice”) e abbandonarsi alla malattia e alle sue contraddizioni (“Non voleva morire come un malato… Incoscientemente voleva ancora l’incontro della sua vita piena di sangue e di salute con la morte, e non il confronto tra la morte e ciò che era già quasi morto”).
Lo stile di Camus è unico, anche in questo esordio letterario. Le descrizioni sono spesso ambivalenti (“Il cielo, per quanto limpido, non aveva splendore”), ritraggono scenari che riflettono umori (“Qualche istante prima il vapor d’acqua che scendeva, né foschia né pioggia, aveva lavato il suo viso come una mano leggera e messo a nudo i suoi occhi pesti”), irrequietudine (“La violenza della pioggia sui vetri aumentò ancora. Una porta sbatté da qualche parte. Sulla strada di fronte le automobili correvano come topi lucenti”), condizioni soggettive impregnate di tensione (“Nell’innocenza del suo cuore accettava quel cielo verde e quella terra bagnata con lo stesso tremito di passione e di desiderio di quando aveva ucciso Zagreus, nell’innocenza del suo cuore”) e sensibilità panica (“A mezzogiorno il vento cessò, la giornata scoppiò come un frutto maturo e colò su tutta la distesa del mondo come un succo tiepido e soffocante, in un improvviso concerto di cicale”).
Bruno Elpis