Le recensioni di Bruno Elpis
Il malinteso di Irène Némirovsky (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
“Il malinteso”, il primo romanzo di Irène Némirovsky, racconta l’adulterio di Denise Jessaint, parigina ben accasata con il ricco Jacques (“Il matrimonio, un vero matrimonio francese, d’amore e di convenienza, poi la maternità…”), con Yves Harteloup, giovane prestante con un passato di ricchezza e un presente da impiegato déclassé.
Nel romanzo è facile leggere l’atteggiamento della scrittrice nei confronti del “genere maschile” e la concezione che il maschio è irrazionale (“Brontolò con la mancanza di logica tipica degli uomini”), interessato soprattutto agli affari (“Lei aveva immaginato che si occupasse di affari, come Jacques e come la maggior parte degli uomini del suo ambiente, quegli affari di cui le donne non capiscono nulla, se non che si traducono in grosse somme…”), traditore e, per questo, da perdonare (“Mia madre… lo ha perdonato anche quella volta, una delle tante. Lo perdonava sempre: i suoi tradimenti erano quasi un’opera d’arte…”), spaventato dall’amore (“Perché non dite chiaro e tondo amore? Vi spaventa così tanto questa parola?”), materialista (“No, ho un’automobile… È meglio di una donna, però succhia altrettanto denaro…”).
Di fronte a tanti difetti, l’atteggiamento dell’autrice rimane contrastato: un “misto di estraneità e di superstizioso rispetto”, di fronte a “una volontà che si subisce senza capire, come la volontà di Dio”.
Nel corso del romanzo è possibile seguire l’evoluzione del sentimento che, nel più classico dei decorsi, sboccia in un luogo romantico (“Hendaye all’epoca in cui era un semplice borgo di pescatori e contrabbandieri…”), nella fase iniziale è carico di fremiti e poesia (“Quei fugaci e deliziosi momenti erano stati talmente simili a un sogno che ora Denise si chiedeva se li avesse davvero vissuti”), ben presto – nella quotidianità - si scontra con vincoli di ogni genere, regredisce e getta nel panico (“Amare e non essere amato,/essere a letto e non dormire,/aspettare e non veder arrivare/sono tre cose che fanno morire”), è incompatibile con le certezze (“…Trovava ogni sorta di pretesto per arrivare in ritardo, troppo sicuro della presenza di lei, della sua disponibilità, del suo amore”), diviene soffocante, a lungo andare richiede di essere tonificato da varianti e additivi. Che Denise intravede nel cugino Jean Paul: “E questo non solo la divertiva, ma dava a quei pomeriggi un sapore più intenso e più piccante.”
Un amore così concepito, naturalmente, è destinato a finire e, retrospettivamente, diviene “monotonia, noia, ansia, tristezza…” Un ”amore grigio e malinconico come una giornata d’autunno”. “Immagini sfocate e pallide, come morte”.
Poi interviene un ricordo: “Il suo dolce, imprevedibile sorriso…”
E una consapevolezza: “Io non lo sapevo che era quella, la felicità… E ora è finita…”
La storia è un po’ lenta, minuziosa nelle descrizioni, poco votata all’azione. Un finto melodramma sotto il quale covano le ceneri di un fuoco che sta per esplodere.
Bruno Elpis