Le recensioni di Bruno Elpis
L’anima altrove di Anna Maria Mori (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Anna Maria Mori, nativa di Pola, giornalista già inviata speciale de “la Repubblica”, torna a raccontare il dramma umano dei profughi istriani - impegno che le è valso nel 2009 il Premio internazionale del Giorno del Ricordo, sezione letteratura - con il suo romanzo, “L’anima altrove”.
L’autrice dei pluripremiati romanzi “Bora” e “Nata in Istria” narra la storia della profuga Irene che, dalla psicanalista, afferma: “È una vita che mi porto addosso un disagio che non so decifrare, un disagio che, invece di diminuire, con il passare degli anni sembra persino aumentare.” Indicando sul lettino dell’analista le cause del malessere: nel deficit di appartenenza (“Fingo di appartenere, ma in realtà non appartengo mai fino in fondo”) e nello sradicamento dalle proprie origini (“Non riesco a mettere le radici, e la sola idea di poterle mettere mi dà angoscia, mi provoca il rifiuto”).
La psicanalista indica un metodo: “Per crescere bene bisogna fare pace con la propria infanzia, tornarci dentro.”
In questo stato, l’esule si aggrappa ai ricordi. E alle cose.
I ricordi
Nella memoria familiare c’è la nonna paterna Natalia (che “vivrà tutta la vita della sua bellezza, e poi del rimpianto di averla perduta”), il padre Renzo (“ossessionato dal corpo disinibito di sua madre e dai suoi amori liberi”) e la madre Rosa, figlia di Antonia cui “la bellezza, l’amore, gli amori … devono sembrare tutte perdite di tempo”.
I ricordi cominciano ai tempi in cui Irene “che ha quattro anni, non sa niente della guerra e gioca con le bolle fatte con il sapone vero … col cappottino di panno azzurro e l’inevitabile cappellino in tinta …”
Poi di colpo “da un giorno all’altro, come succede nei film, cambiano i colori, i suoni, le forme: da un panorama idilliaco … si passa … a giornate grigie, come avvolte dentro una gigantesca nube di fumo”.
Il dramma degli esuli deriva dal “prezzo della sconfitta e, prima ancora della rovinosa e tragica alleanza con la Germania di Hitler. L’abbiamo pagato, questo prezzo: la cessione dell’Istria alla Iugoslavia di Tito.”
I ricordi sono soprattutto fatti di mare e di luoghi.
“Quarnero. In fondo a un lungo fiordo c’è Lussino. All’ingresso dell’insenatura c’è la baia di Zabodaski, un isolotto in cui il bianco accecante del calcare è quasi sepolto dentro gli arbusti della macchia mediterranea: elicrisi, corbezzoli, ginepri, carrubi, lauri. Sopra gli arbusti svettano i pini …”
“… Il tratto di riva assai ventoso con i gabbiani che cabrano sul muschio verde dello squero e degli squarci di schiuma, ogni attimo viene scandito dal movimento delle fronde dei pini con i loro colori vitali, dalla brezza marina che nella ‘porporela’ culla passere, battane e brazzere a poppa quadrata, e tutto procede con tragica, quasi ostentata, naturalezza.”
Le cose
Le cose sono importanti per un duplice motivo.
In senso animistico, sono esseri viventi testimoni degli eventi. Così, nel racconto inedito di Nelida Milani (“Dentro le mura”) contenuto dal romanzo, una casa è testimone degli eventi occorsi alla famiglia che in parte si disperde, in parte resiste nella “casa … occupata dai liberatori”.
Così “L’angelo”, una scultura di marmo bianco, è testimone vivificato e totem che segue le sorti degli esuli, per ricordare loro il tempo felice in cui lui, l’angelo, era una fontana nel loro giardino.
In senso sostanziale, le cose sono l’elemento materiale al quale il ricordo degli esuli disperatamente si aggrappa: “persa la casa, le cose, i mobili e tutto quello che c’era e che c’è dentro ai mobili sono diventati la nostra anima, e non possiamo, non vogliamo perdere la nostra anima.”
Siano esse le barche di due fratelli: “le zucche vuote con dentro una candela accesa” del maggiore o “le barchette di carta” del minore.
O i mobili da conservare strenuamente, anche a costo di adattare la costruzione della casa (“La cuciza”) per contenerli: “una piccola casa a misura dei mobili … In genere è il contrario, no? Uno si fa una casa nuova di zecca, e solo dopo sceglie i mobili da metterci dentro …”
Importanza fondamentale hanno, naturalmente, le foto, alle quali attaccarsi in modo quasi ossessivo.
E, infine, altrettanto importanti sono gli oggetti smarriti, perduti o decimati nel tempo o semplicemente riposti in qualche angolo: i gioielli della mamma, “la macchina da cucire a pedali, con la scritta Necchi in oro su fondo nero”, “il servizio di piatti di porcellana col bordo azzurro e argento”, le palle di natale di vetro, la macchina da scrivere Remington, il timbro da usare sopra la ceralacca rossa, “la collezione dei dischi in vinile, quasi tutti della Voce del Padrone, con la famosa etichetta del cane che ascolta un grammofono”.
Bruno Elpis