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Le recensioni di Bruno Elpis

Le notti di Reykjavik di Arnaldur Indridason (qlibri)

L’isola di fiordi e geyser 

Arnaldur Indridason s’incunea nel filone dei gialli nordici e ne “Le notti di Reykjavik” ci conduce in Islanda: un paese  che nel mio immaginario è un punto di accumulazione di iceberg, sorgenti di acqua bollente e fumarole... contrasti geografici che antagonizzano la totale assenza di una dialettica che, da noi, è un dato di fatto: l’alternanza tra la luce del giorno e il buio della notte.

Le notti di Reykjavick” (“incidenti stradali, automobilisti ubriachi e risse nei locali notturni erano ordinaria amministrazione, così come gli insulti di certa gente”) sono quelle dell’agente Erlendur, un personaggio mite, ma caparbio e insistente, che possiede la determinazione cocciuta di molti  detective della letteratura di genere.
In giovane età, durante un’escursione sui monti, Erlendur ha perduto un fratello: di lui non ha avuto più notizie, è scomparso. Sarà anche per questo precedente che l’agente s’interessa a casi di scomparsa e, tra questi, al caso di una donna vittima di un marito violento (“Avevano definito la donna una gioielleria ambulante”)…
Proprio nei giorni della sparizione di Oddny, Erlendur rimane impressionato da un altro episodio che movimenta la cronaca nera islandese: il clochard Hannibal – già vittima di un incendio doloso (“Diceva che qualcun altro aveva cercato di dare fuoco allo scantinato. Anzi a lui”) - viene ritrovato senza vita, apparentemente affogato nell’acqua paludosa della  torbiera (“I più erano convinti che si fosse trattato di un incidente, che l’uomo fosse caduto in acqua e annegato”).
Attraverso gli interrogatori dei senzatetto e dei fratelli di Hannibal, Erlendur conosce il passato tragico che ha indotto una scelta di vita così drastica e si convince che la morte di Hannibal sia un omicidio bello e buono.
 

Tra nomi impronunciabili e scoperte fonetiche (ad esempio, lo sapevate che la lettera eth - maiuscola Ð, minuscola ð - scritta anche edh o , è una lettera dell'antico inglese e norreno, oggi ereditata dagli alfabeti islandese e faroese e corrisponde al digramma th dell'inglese?), ho preso atto con angoscia di  alcuni orrori dell’etilismo (“Che schifo! Io non ce la farei, a bere il dopobarba”), ma ho anche ritrovato  l’umanità che palpita sotto l’atmosfera algida dell’isola dei fiordi e dei geyser… 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/gialli-narrativa-straniera/discussions/review/id:46328/