Le recensioni di Bruno Elpis
Koto di Yasunari Kawabata (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Yasunari Kawabata, premio Nobel nel 1968, in “Koto” rappresenta l’anima tradizionale del Giappone e assume la storia di Chieko, ventenne figlia adottiva di Takichiro (“I trovatelli sono figli degli dei”), come spunto efficace per affrescare tradizioni e cerimoniali nipponici.
Takichiro è proprietario di una bottega tessile di Kyoto (“I tre monti Higashiyama, Kitayama e Hieizan si vedevano da qualunque punto dell’orto botanico, ma da lì, l’Hieizan appariva esattamente di fronte) e si diletta a realizzare kimono per la figlia. Costei regala al padre un libro con le opere di Klee, per offrire nuovi spunti creativi al padre.
La storia di Chieko viene rappresentata nell’arco di quattro stagioni: sboccia in primavera, insieme alle violette del giardino (“Sotto le violette, ai piedi dell’acero, c’era un’antica lanterna di pietra. Era stato il padre a dirle che la figura scolpita era quella del Cristo”); procede nell’atmosfera della festa estiva di Gion; subisce un’accelerazione improvvisa nella casuale conoscenza della sorella gemella Naeko, che le somiglia come una goccia d’acqua e vive nel paese dei cedri; trova una nuova consapevolezza familiare e sentimentale nel corso dell’inverno.
Il percorso di Chieko si compie nelle tradizioni familiari (“Adesso, naturalmente, il focolare non si usava più… Ma il focolare non era stato toccato… anche per rispetto al dio del fuoco… c’era ancora l’amuleto contro gli incendi, simboleggiato da quella divinità, Kojin-sama. Accanto stavano allineate le sette divinità della fortuna…”) e nazionali (“La caratteristica più bella del giardino sacro è una particolare varietà di ciliegi scarlatti dai rami pendenti. Non esiste altro fiore che possa meglio simboleggiare la primavera di Kyoto”), a contatto con i luoghi del culto e della spiritualità asiatica, nel confronto continuo con regole sociali difficilmente comprensibili per la mentalità occidentale.
Nel quadro liturgico e naturale del Giappone, Kawabata rappresenta il dramma dell’esperienza filiale di un’adozione che si pone gli interrogativi sulla provenienza (“Chieko doveva essere stata abbandonata non solo perché vent’anni innanzi partorire due gemelli era stato ritenuto quasi una vergogna, ma anche perché sarebbe stato certo problematico per la famiglia allevare entrambe le figlie”) e che avverte insidie e richiami della consanguineità. Nonostante il potenziale tragico della storia, la drammatica esperienza di crescita si sviluppa nella grazia e nell’equilibrio della civiltà orientale.
Lo stile di Kawabata è poetico, pennellato, cromatico (“Nella lunga giornata d’estate era ancora presto per il tramonto, in quel colore del cielo non v’era perciò ombra di malinconia. In alto si espandeva un rosso di fiamma… Forse a causa di quel cielo, lo Hieizan e il Kitayama apparivano di un verde più intenso”).
Nei dialoghi spesso ricorre quest’espressione: «…»
Per dare spazio all’immaginazione del lettore?
Per significare che alcuni sentimenti non si possono esprimere con le parole?
“Koto” è la prova che in ogni cultura trova espressione uno spirito cosmico e artistico, che mi fa chiedere con Kawabata: “E se tutti gli uomini fossero gemelli?”
Bruno Elpis