Il modello di Pickman
- Dettagli
- Categoria: H.P. Lovecraft
- Scritto da Bruno Elpis
“Pickman’s model” è un racconto macabro sul ghoul: il demone divoratore di cadaveri.
Il ghoul, nella cultura arabo-islamica, è un demone mutaforma che vive nel deserto: può assumere l'aspetto di un animale (soprattutto la iena) o di un essere umano. Accusato di dissacrare le tombe e di nutrirsi della carne dei morti o dei bambini, attira i viaggiatori nel deserto per ucciderli e divorarli.
Per Lovecraft il ghoul appartiene a una razza notturna sotterranea e si trasforma in quanto si ciba di cadaveri umani.
Questa storia, in un primo momento, sembra instaurare una relazione emotiva tra l’arte figurativa e il senso dell’orrore e del misterioso.
Operazione già effettuata, e con successo, da Edgar Allan Poe ne “Il ritratto ovale”.
In altro ambito letterario, vien da pensare al “Ritratto di Dorian Gray” ove Oscar Wilde assume l’osmosi tra personaggio ritratto e personaggio vivente: due vasi comunicanti che interagiscono uno a scapito dell’altro.
H.P. Lovecraft riconduce all’intuizione artistica la capacità di cogliere il legame profondo che intercorre tra prodotto artistico ed essenza umana: “Solo l’artista autentico intuisce la vera anatomia dell’orrore, la fisiologia della paura, conosce con precisione quali linee e proporzioni scaturiscano dalle pulsioni latenti o dalla memoria ancestrale del terrore…”
I riferimenti sono concreti.
A pittori come Fuseli: “Inutile che ti spieghi perché si rabbrividisca davanti a un Fuseli”.
O come Goya: “… Pickman eccelleva nell’arte del ritratto. Nessun altro pittore dopo Goya … ha saputo trasfondere la quintessenza dell’inferno nei lineamenti e nella mimica di un viso”.
Sarà per via della discendenza genealogica del pittore (“Pickman, sai, viene da un’antica famiglia di Salem: nel 1692 una sua antenata fu impiccata per stregoneria”), ma le relazioni, oltre che psicologiche, sono anche fisiche e geografiche: “Un tempo in tutto il North End c’erano gallerie sommerse che collegavano alcune case fra loro e le univano al cimitero e al mare: lo sapevi?”
Il legame tra arte e vita è talmente potente che Lovecraft fonda un nesso più che simbolico: addirittura ontologico. La pittura non è semplicemente mimesi o riproduzione di qualcosa che esiste e che l’immaginazione accoglie. Così il ritrattista produce, oltre all’opera e nell’opera, la realtà stessa: “Davanti ai miei occhi non c’era l’interpretazione di un artista, c’era l’inferno stesso, di cristallina chiarezza nella sua cruda obiettività”.
Una forma di idealismo creazionista, che però non modella – come nella filosofia romantica tedesca dell’ottocento - “un reale razionale”. Tutt’altro: il risultato della rappresentazione creativa è profondamente irrazionale. E orrore allo stato puro.
Bruno Elpis
http://lettoriautori.altervista.org/lc9.htm