Le avventure di Gordon Pym, romanzo di Edgar Allan Poe
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- Categoria: Edgar Allan Poe
- Scritto da Bruno Elpis
Molte le letture possibili di questo romanzo.
Privilegiando una dimensione sulle altre, se ne possono fornire diverse visuali.
Per esempio, la storia potrebbe essere riguardata per la componente avventurosa ed esplorativa: in fondo è un viaggio, con tanto di naufragio, sino a una fantasiosa incursione nel circolo polare antartico.
Da questo punto di vista, Poe potrebbe essere accostato a Jules Verne: per alcune intuizioni sulla calotta polare allora inesplorata, per alcune descrizioni di un ecosistema fantastico e strabiliante.
Ancora, delle “avventure di Gordon Pym” potrebbe essere esaltata la dimensione enigmatica: nella simbologia (anche grafica, oltre che filologica) ricavata dalla conformazione dei luoghi, l’autore trae la chiave interpretativa di un mistero.
Oppure, ancora, la lettura potrebbe essere intesa come un viaggio nella tensione: che monta a partire da una prima fuga sull’acqua a rischio-vita, passa attraverso l’angoscia del nascondiglio nella stiva del brigantino, procede con il conto alla rovescia delle vite umane dei marinai ammutinati. E poi si sviluppa nella drammatica lotta dei superstiti contro fame, sete e pescecani, sino al salvataggio della goletta che si avventura tra iceberg e banchisa. Per culminare nello scontro finale con i selvaggi.
Io mi occuperò di collocare quest’opera nell’ambito della letteratura dell’orrore privilegiando una vicenda che imparenta “Gordon Pym” ad altre descrizioni di pratiche antropofaghe.
Nel romanzo Gordon Pym avverte una prima avvisaglia di questo istinto quando, vittima degli stenti, dal legno malridotto sul quale galleggia con altri tre superstiti, assiste al passaggio di un vascello fantasma, carico di morti. Un gabbiano strappa carne da un cadavere, prende il volo e lascia cadere ai piedi dell’affamato protagonista un brandello della sua preda.
Questo episodio è solo il diapason: uno dei quattro sventurati esige che una vittima si sacrifichi per gli altri tre e così avviene, dopo un’estrazione a sorte con il gioco delle pagliuzze.
La mente va alle sirene e ad altre creature che popolano la mitologia greca. Va ai riti dionisiaci di smembramento e ingestione di carni ancora palpitanti. Poi approda, la memoria, al canto trentatreesimo dell’Inferno ove “la bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator”, il conte Ugolino, per il quale “più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno”.
Se la tecnofagia in Dante è, alla fine, sollecitata dalle vittime stesse (“Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia”), non così avviene in altra letteratura. Anche se Dante confeziona l’antefatto più illustre del “Silenzio degli innocenti”.
Sto pensando anche a una sconvolgente scena, viva nella mia mente più grazie alla trasposizione cinematografica che per la scrittura di Tennessee Williams. Sto parlando di “Improvvisamente l’estate scorsa”. Indimenticabile il film in bianco e nero con Katherine Hepburn e una giovanissima Liz Taylor: nell’apollinea forma del puritanesimo americano si narra di una storia terribile. Indimenticabili le sequenze che portano al rito sacrificale. Tutto descritto con il ritmo assordante di tamburi, in un’oreibasia che ricorda un baccanale. E quella mano sollevata verso il cielo a testimoniare un atto di cannibalismo collettivo.