Barbablù di Amélie Nothomb
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- Categoria: Commenti acronimi
- Scritto da Bruno Elpis
Bisogna avere un orco, una sposa, una stanza che è vietato aprire, un segreto inconfessabile, per riproporre lo scheletro della storia di Perrault.
Quanto alla fiaba, la leggenda vuole che si fondi su un orrore reale: Barbablù era il barone di Rais? Gilles de Montmorency-Laval, questo era il nome del barone, aveva combattuto al fianco della pulzella d’Orleans. Era proprietario di immense tenute e castelli. Venne accusato e condannato per torture, stupri e uccisioni consumate in occasione di vere e proprie cerimonie pantagrueliche: in esse, lusso e lussuria culminavano con il sacrificio di innocenti adescati tra i meno abbienti e che risultavano misteriosamente scomparsi. La fiaba di Pérrault sarebbe la trasfigurazione di una vicenda ritenuta inenarrabile ai bambini nei suoi termini reali.
Applicando la struttura sopra delineata (orco – sposa -stanza vietata - segreto), l’orco della fiaba noir di Amélie Nothomb è “don Elemirio Nibal y Milcar, grande di Spagna”. Un uomo strano: “Sembrava un depresso grave, con lo sguardo spento e la voce esausta”. Attratto dagli “atti processuali dell’Inquisizione”, a essi attribuisce un merito: “Prima, un’accusa di stregoneria portava dritti al rogo. Grazie al tribunale della Santa Inquisizione, la strega era sottoposta all’ordalia che poteva scagionarla”. Elemirio è consapevole del suo fascino: “mi accorgo che tante donne sono calamitate dalla mia orribile reputazione. Può spiegarmi questo comportamento femminile?”
Regina e sposa è Saturnine Puissant: prende in affitto a modico prezzo il lussuoso appartamento parigino, da condividere con l’orco. “Capì immediatamente che non avrebbe più potuto fare a meno del lusso”. Con lei (del resto il suo nome allude all’era di Saturno) comincia l’età dell’oro. E dello champagne. La più classica delle eroine della poetica nothombiana.
Bisogna – dicevamo – disporre anche di una stanza vietata: “Questo è l’ingresso della camera oscura, dove sviluppo le mie fotografie. Non è chiusa a chiave, una questione di fiducia. Va da sé che questa stanza è proibita. Se ci entrasse, io lo saprei, e lei se ne pentirebbe”.
E, infine, bisogna covare un segreto inconfessabile: “Otto donne hanno già ottenuto questa stanza. Sono tutte scomparse”. “Un uomo che ha ucciso otto donne per motivi cromatici” applica un principio: “L’ipotermia non rovina il corpo”.
Ancora una volta, la dissacrazione della Nothomb si materializza in un’estetica macabra: “Il ruolo dell’arte è completare la natura e il ruolo della natura è imitare l’arte. La morte è la funzione che la natura ha inventato allo scopo di imitare la fotografia. E gli uomini hanno inventato la fotografia per captare quel formidabile fermo immagine che è l’istante del trapasso”.
E in un edonismo portato all’estremo: “Ogni sistema tende al culmine del proprio piacere e si organizza in funzione di esso. Forse tutte le versioni dell’universo convergono verso un godimento unico di cui non possiamo neanche immaginare la violenza. E’ vero anche su scala individuale. Ogni cosa vivente aspira alla massima esultanza”.
Barbablù è un’opera che sa di “déja vu”.
La verve dell’autrice sembra appannata: la provocazione (“Fotografare una donna viva è troppo difficile. Si muove in continuazione”) deve sorprendere e non può servirsi di argomenti già sfruttati in opere precedenti.
Un vero peccato, soprattutto per coloro che con l’autrice belga ormai pensavano di andare a colpo sicuro.
Bruno Elpis
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