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Le recensioni di Bruno Elpis

Figli dello stesso padre di Romana Petri (qlibri)

coverFratelli

Germano ed Emilio sono fratelli.
Germano: nomen omen?
Niente affatto. Perché – Wikipedia docet - secondo la definizione: “I fratelli che condividono entrambi i genitori sono detti fratelli carnali, germani o bilaterali. I fratelli che hanno un solo genitore in comune sono detti unilaterali. Nello specifico, se i fratelli condividono solo il padre si dicono consanguinei, se condividono solo la madre uterini.
Germano ed Emilio, dunque, sono fratelli consanguinei, appunto “Figli dello stesso padre”, l’intemperante Giovanni: uomo instabile e infedele (Le donne: “All’inizio sembrava un burattino nelle loro mani. Poi si invertivano i ruoli. Le spremeva ben bene e le schiacciava”), adorato – in modo diverso – dai due figli.

Nelle prime duecento pagine il romanzo di Romana Petri, approdato nella cinquina finalista del Premio Strega 2013, scorre lento: analitico, minuzioso, capillare, esplora premesse e condizioni sulle quali innestare l’atto finale, che si consuma nelle ultime cento pagine con l’incontro-scontro tra i due fratelli: quando Germano ed Emilio, che vivono separati dall’Atlantico, si incontrano dopo quattro anni (il periodo di tempo trascorso dalla morte del padre: “Non c’era niente di strano nel voler rivedere un fratello dopo quattro anni, dopo la furia di quel funerale in cui sembrava quasi che si fossero contesi il morto”) in occasione della mostra romana di Germano (“Un’antologica intitolata Rigor mortis … E hai visto i nomi dei quadri? … Fanno paura. Tuo fratello dipinge solo la morte”).
Vediamo allora quali sono i due termini dell’antagonismo adelfico.

Emilio

Il secondogenito, nato da Costanza, la prima amante di Giovanni, ha la colpa di incarnare l’infedeltà del padre. Rappresenta il frutto di un tradimento che Giovanni ha operato nei confronti del figlio primogenito.
Emilio, figlio modello, è studente esemplare, appassionato di matematica e di … formiche! “Parlavi male, rispondevi male, ma ti passava tutto. Io mi comportavo benissimo, ero una specie di soldatino, a scuola ero il migliore … E lui non mi veniva a trovare quasi mai.”
Si è costruito una vita familiare che è l’emblema della tranquillità borghese americana: “Tre passioni .. Jenny e i bambini vanno insieme, poi seguono la matematica e le formiche.”
Per tutta la vita ha cercato di farsi accettare dal padre e dal fratello, senza riuscirvi: “Se c’era una cosa che desiderava da sempre era che il fratello gli volesse bene, che lo risarcisse dell’affetto mancato del padre.”
Ha tentato invano di contrastare il rifiuto di entrambi: “Che suo padre preferisse Germano, era stato sempre più che evidente. A lui non restava che osservare quell’imparità di affetto continuando a mantenere una posizione di attesa, restando tranquillo, senza mai manifestare dolore.”
Giunge a Roma per affrontare la sua ultima chance di ricostituire il legame di un sangue che sente scorrere prepotente nelle vene, al ritmo delle imperative leggi dell’identità carnale: “Tutta la vita a cercare di compiacerlo. L’umiliazione del piccolo verso il grande … La parola giusta era devozione.”
Insomma, è l’Abele della storia.

Germano

Il primogenito, nato da Edda, bella donna che riesce a rifarsi una vita sentimentale con il portoghese Duarte, è un pittore egocentrico, volubile, possessivo, geloso, prepotente. Ha una personalità corporea nelle passioni e nell’apparire: “… non mi fido dei buoni, degli irreprensibili, dei mariti e dei padri esemplari.”
Ha sempre rifiutato Emilio: perché sua madre “ha fatto un figlio con un uomo sposato, diciamo che non si è fatta troppi scrupoli … mio padre non lo voleva e lei gliel’ha imposto.”
Perfin negando il rapporto di consanguineità e arrogandosi un diritto di esclusiva sul padre.
Insomma, è il Caino della vicenda.

Il complesso di Caino

Avrà modo di manifestarsi in tutta la sua potenza. A Roma. Tra i ricordi.
Questo complesso primordiale, come ben sappiamo dalla Bibbia, può anche sfociare nel fratricidio.
Emilio è disposto a tutto, vuole andare fino in fondo. Quando sta per gettare la spugna, una frase riecheggia nelle sue orecchie: “Nella vita meglio un errore che un rimpianto.”
Dunque, fino allo scontro fisico, combatte la sua lotta disperata per conquistare l’amore di un fratello ribelle e imprigionato nell’irrisolto dolore infantile.

Un romanzo dal doppio volto: studiato e cervellotico nella prima parte, rifiorisce nell’appassionante duello conclusivo. Quando, sotto le cannonate di un’emotività possente, il lettore si sente travolto dal sentimento partigiano … verso Abele? Verso Caino? Indifferentemente verso Caino e Abele?

Bruno Elpis

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-italiana/discussions/review/id:35955/