Le recensioni di Bruno Elpis
Ma già prima di giugno di Patrizia Rinaldi (i-libri)
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- Scritto da Bruno Elpis
Abbiamo lasciato Patrizia Rinaldi (qui trovate l’intervista: http://www.i-libri.com/scrittori/intervista-patrizia-rinaldi/) come autrice della trilogia di Blanca, composta da:
Tre, numero imperfetto
Blanca
Rosso caldo
“Ma già prima di giugno” ritroviamo Patrizia – con la quale dialoghiamo nel corso di questo commento - nel suo nuovo romanzo, una sorpresa annunciata per chi ha colto la sensibilità artistica e culturale dell’autrice partenopea tra le righe scritte con l’inchiostro noir.
Sul piano strutturale, il romanzo fresco fresco di stampa si presenta composto nella dialettica tra le due protagoniste, la madre Maria Antonia e la figlia Ena, le cui prospettive si chiudono a tenaglia sul cuore della storia procedendo lungo due delle tante possibili direttrici del tempo: dal passato in avanti provengono le vicende di Maria Antonia, dal presente all’indietro retroagisce l’agonia di Ena (“L’acetabolo è rotto”). Questa tecnica consente un interessante, rivoluzionario sovvertimento narrativo, grazie al quale la madre ringiovanisce, la figlia invecchia, in un astuto stratagemma compositivo che viene dichiarato in nota nelle prime pagine: “Le due rette sono la storia dal 1940 al 1960 di una madre giovane, Maria Antonia (1918-1998), e di sua figlia vecchia Ena (1960-2040) da vecchia. La narrazione procede a capitoli alternati tra narrazione e claustrofobia”.
D – Patrizia, in questa scelta quanto incide l’intuizione artistica e quanto invece agisce la programmazione letteraria?
Patrizia Rinaldi – Ho solo cercato di raccontare alcune promesse: quella economica degli anni sessanta, quella del progresso culturale e scientifico che è nato dal futurismo e che ha resistito a lungo anche dopo la sua fine e la promessa più importante che celebra la condanna delle guerre. La madre giovane vive tra danni molto gravi, ma in compagnia di queste promesse. La figlia vecchia abita le promesse non mantenute.
Quanto ai contenuti il romanzo è una saga familiare “sui generis” che viene cucita agli eventi storici dei quali Maria Antonia è protagonista: la fuga da Spalato (“Dopo poco tempo a Spalato, per Augusto fu evidente che i suoi conterranei stavano imboccando i nativi con cucchiaiate di tumulto e di strage”), il terribile viaggio – tra i topi - attraverso l’Adriatico sino a Brindisi durante il quale la giovane donna assiste a uno stupro, il ritorno a Napoli, la deportazione di tre fratelli (“… A ottobre i soldati tedeschi vennero a prendere Renato… Arturo… e Tore… per trasferirli nel campo di lavoro di Dachau…”), gli orrori e le ipocrisie della guerra (“Perché, signora, voi avete mai creduto che la guerra si fa con i trattati? Quelli sono buoni per coprire gli occhi che verranno cavati”), lo sfollamento presso Teodoro, lo zio prete, la notizia incerta della morte del marito (“Il corpo non era stato rinvenuto, probabilmente si trovava in buona compagnia in una delle foibe carsiche”), le contese legali per assicurare alla figlia l’eredità di una villa la mare (“A Lucia spetta la legittima… ci accontentiamo della villa al mare”), una scelta scandalosa e fuori dagli schemi (“Il matrimonio sarebbe stato celebrato in casa da don Mariano, che le aveva annunciato il prossimo scandalo”).
D – Il tuo raccontare storico è piuttosto inconsueto: avviene in controluce, agganciando particolari del nazismo (“Il dottor Schilling che, per amor di sapienza, infettava i prigionieri di malattie varie”), del razzismo (“il pulmino Mercedes che era stato usato per il trasporto di disabili nel castello di Hartheim…”) e del conflitto (“I tedeschi… favorirono la malaria per sterminare civili e nuove alleanze… non è roba da poco nella lotteria della prima guerra batteriologica europea dell’evo contemporaneo”). Come si è svolta la tua ricerca storica?
Patrizia Rinaldi – I racconti di guerra e dei passati remoti sono comunque ricordi di Ena, la figlia vecchia. Ena ne parla in terza persona perché capita nelle famiglie di avere un certo repertorio di saga. Repertorio che la stessa Ena smentisce in una confessione frammentata: in fondo ha sbagliato quasi tutto, anche i ricordi possono essere sbagliati, codificati da altri. La mia ricerca si è svolta su dettagli forse sbagliati, appunto, ma che si ricollegano a dati certi di documenti d’epoca e quindi ai miei studi dall’università in poi.
Dalle pagine di “Ma già prima di giugno”fuoriescono tutte le anime di Patrizia Rinaldi: quella filosofica (“In un sol colpo hai buttato via mito e logos insieme alle appendici inutili”), quella storica (“Gli ultimi giorni a Spalato aveva bevuto acqua di canale”), quella di autrice (“Dormi bimba, non è nulla, c‘è la mamma che ti culla. C’è la mamma che ti canta, che nel cuore un fior ti pianta”) di racconti per la gioventù (uno per tutti? “Federico il pazzo”, finalista al Premio Andersen 2015), quella psicologica (di fronte allo stupro: “A Maria Antonia salì un sentimento di salvezza e lo schifo per quello che stava provando. Non è toccato a me”), quella folk (“Palummella, zompa e vola/Addò sta nennella mia…”), quella pop (“Mammà conosceva delle parolacce bellissime; le diceva in un sospiro solo, senza dividere le parole: chitèmmuorto…”). E fuoriescono tutte le nature: di donna (“Il loculo dei guanti è un solido geometrico con l’odore di mia madre. Un misto di lavanda immortale, fiori selvatici con retrogusto di tuberose, olezzo di rossetto stantio”), di voce ora ribelle ora disincantata del nostro tempo (“La contentezza è un muscolo come altri”), di artista.
D – Privatamente mi hai confessato che tieni molto a questo libro. Anche se è facile intuirne il motivo, perché ti senti legata a quest’opera?
Patrizia Rinaldi – Tengo molto a questo libro proprio per questa libertà di cercare linguaggi diversi. Privatamente ti ho detto che ho dedicato il romanzo a mia madre, Ninetta, e a Giusi, l’amica con cui ho diviso quasi tutto. Ma già prima di giugno non è un romanzo autobiografico, in alcune pagine sopravvivono, pur essendo ben sepolti, cenni della vita mia, mi è capitato anche in altri libri.
Sul piano stilistico, “Ma già prima di giugno” è una bella novità: le parole trovano vita in maniera sorprendente e inaspettata, hanno il potere di stupire il lettore giocando in assoluta libertà tra di loro anche attraverso monosillabi (tzè – olè – zan zac…), facendosi improvvisamente ruvide e aspre (“La mia carne, sotto le sue mani, diventava roba guasta, brutta”), perseguendo una sperimentazione che non rinuncia alle curiosità idiomatiche (“Quello che da noi si chiama vuommeco – conato improduttivo di nausea alla vista di sentimentalismi”) e lessicali (“Le futtesse… tutto quello che non riguardava arrivare a sera vivi sotto i bombardamenti e non completamente digiuni”).
D – Il tuo modo di scrivere così particolare è spontaneo o come il romanesco dei “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini è frutto di una sofisticata ricerca personale?
Patrizia Rinaldi – Non mi permetto il paragone con Pasolini.
Quando scrivo finalmente ragiono con i sentimenti nascosti, con l’abbandono, con la fragilità emotiva e il suo contrario: nella quotidianità delle parole consumate e basta non sempre è possibile.
E ora ci godiamo la foto artistica di Ciro Orlandini, nella quale - in bianco e in nero – un’affascinante Patrizia Rinaldi stringe al cuore “Ma già prima di giugno”…
Bruno Elpis
http://www.i-libri.com/libri/ma-gia-prima-di-giugno-con-la-partecipazione-dellautrice/