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Le recensioni di Bruno Elpis

La caduta di Albert Camus (qlibri)

Il giudizio universale. Avviene ogni giorno 

La caduta” di Albert Camus è un testo che trae dall’assurdità reale la propria linfa narrativa.

Jean-Baptiste Clamence è un avvocato parigino (“Alcuni anni fa ero avvocato a Parigi, un avvocato abbastanza noto…”) che ha esercitato la professione con magnanimità e dedizione (“Ne assumevo la difesa a una sola condizione: che fossero dei buoni assassini, nel senso in cui si parla del buon selvaggio”). Quando si rende conto che, sotto la scorza dell’esteriorità (“Per l’uomo moderno, basterà una frase: fornicava e leggeva giornali”), covano narcisismo (“Dopo la recita, gli inchini”), superbia, vanità, aggressività (“Invece ero impaziente di prendere la rivincita, di picchiare e di vincere”) e superficialità (“Avrei dato dieci colloqui con Einstein per un primo appuntamento con una comparsa carina”), la dilacerazione (“Mi pareva che la menzogna crescesse di pari passo, così smisurata che mai più avrei potuto mettermi in regola”) prende il sopravvento e  l’uomo si abbandona ai piaceri più disparati (“Oltre alla sensualità, l’amore del gioco”) e a esperienze edonistiche (“Le donne infatti hanno una cosa in comune con Bonaparte: pensano sempre di riuscire dove gli altri sono falliti”).
La coscienza della contraddizione (“Per finirla con l’ambiguità, bisogna semplicemente finir di vivere”) si realizza in una Parigi surreale (“Ero felice di camminare, un po’ intorpidito, fisicamente calmo, col corpo irrigato da un sangue lento come la pioggia che cadeva”), nella quale Clamence realizza la propria resa quando assiste con indifferenza e vigliaccheria, senza intervenire, al suicidio di una donna che si butta nella Senna. 

Con consapevolezza problematica, Clamence abbandona la professione e si trasferisce nel ghetto (“Io abito nel luogo d’uno dei maggiori delitti della storia”) di Amsterdam, città di incontri (“Le donne dietro quei vetri? I sogni, caro signore, sogni a buon mercato, il viaggio nelle Indie!... Lei entra, tirano le tendine e la navigazione incomincia”), ovepredilige luoghi come la diga, deprimenti  (“Fra i paesaggi negativi, è il più bello!”), ma non per questo meno struggenti (“Il mare color liscivia chiaro, il vasto cielo dove si riflettono le pallide acque. Un inferno soffice”). Ad Amsterdam, nel bar Mexico City (“A Mexico-City è a casa mia, sono particolarmente felice di averla mio ospite”) l’ex avvocato colloca un nuovo centro di attività locutoria (“Guai a voi, quando tutti diranno bene di voi”), intrattenendo gli avventori con monologhi che hanno lo scopo di estendere anche agli altri “la caduta”.
L’obiettivo di questa nuova fase (un predicatore? Un affabulatore? Un falso profeta?) è quello di smascherare le apparenze che soffocano l’individuo, nella parte del giudice-penitente (“Bisognava fare la strada in senso inverso, esercitare il mestiere di penitente per poter finire giudice”), per confessare al mondo le contraddizioni con una denuncia (“Il giudizio universale. Avviene ogni giorno”) che metta a nudo l’inferno delle ipocrisie personali (“Diciamo che compii l’opera il giorno in cui bevvi l’acqua di uno di noi che agonizzava”) e delle costruzioni sociali (“Proclamava la necessità di un altro papa che vivesse tra i miseri, invece di pregare su un trono…”). 

Un testo drammatico, sospeso in modo doloroso (“Credono sempre che ci si uccida per un motivo. Invece se ne possono avere anche due”) all’impalcatura artistica di un autore che ha interpretato con grande effetto le angosce dell’esistenzialismo. 

Bruno Elpis 

http://www.qlibri.it/recensioni/romanzi-narrativa-straniera/discussions/review/id:48800/